Sky Inclusion Days - Auguri mamma

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1 anno fa

"Abbiamo un momento a cui tengo tantissimo, sappiamo che è la Festa della Mamma, noi ci tenevamo a fare gli auguri in un modo nostro, un modo speciale, un modo unico ma soprattutto un modo personale. Una storia, una condivisione di una storia, anzi tre, quindi a breve avremo con noi sul palco tre mamme meravigliose che hanno avuto la sensibilità di condividere con noi qualcosa di loro. La prima è già qui, è Laura Miola al centro, Vasiliki Pierrakea e Elena Goretti. "Buongiorno a tutti sono qui oggi per raccontarvi una storia, dovete sapere infatti che io tutti gli anni come immagino tutte le donne, vado a fare il mio controllo dalla Ginecologa e ogni anno la dottoressa quando si siede alla scrivania per aggiornare la mia scheda, scrive: Elena Goretti, che è il mio nome: Nullipara. Nullipara significa donna che non ha mai partorito. Eppure mi dico: sono mamma, sono mamma a tutti gli effetti di due figlie che chiamano: "Mamma" quando hanno bisogno di qualcosa. Oppure dicono: "Mamma", quando chiedo loro di riordinare la stanza o fare i compiti. Oppure dicono: "Mamma, mamma, mamma", la notte quando hanno un brutto sogno, vogliono venire nel lettone o hanno paura per qualcosa. Elena Goretti, nullipara. Non ho mai visto quelle due linee diventare blu, non ho mai visto la pancia crescere sotto una gonna a fiori come questa. Non ho mai fatto quel: "Spingi, spingi, spingi, respira", non ho mai avuto il latte dal mio seno. Eppure mi sono svegliata ogni tre ore per dare il latte alla mia bambina, ho cambiato milioni di pannolini e ho avuto anche degli incidenti con dei pannolini. Ho curato febbri, influenze, scarlattine, varicelle e anche la bocca mani-piedi. Le nullipare come me sono tante mamme in Italia e nel mondo. Me ne viene in mente una che in realtà è un personaggio di un libro, un libro che si chiama: "La vita davanti a sé" di Romain Gary. La protagonista si chiama Madame Rosà ed è una ex prostituta ebrea, di 80 anni e quasi 100 kg, che ha cresciuto decine e decine di bambini, figli di colleghe prostitute, che non potevano o non volevano occuparsi di loro. In realtà ho desiderato diventare una primipara, con mio marito avevamo 30 anni, c'eravamo appena sposati, abbiamo provato ad avere un figlio che non è venuto. E vi confesso che la spirale dei controlli e dei tentativi ci stava fagocitando. Ci stava distruggendo non era esattamente l'idea che avevamo di generare e così, come si fa davanti a una curva molto stretta, abbiamo sterzato, a un certo punto, abbiamo detto basta, la strada dell'adozione è la nostra strada di libertà e così, mentre le mie amiche si sottoponevano al Bitest, alla Translucenza Nucale, alla Morfologica, io mi sottoponevo al test per l'AIDS, per la Tubercolosi e per la Sifilide, che sono tre analisi che vengono richieste in caso di adozione e poi mi sono sottoposta a colloqui con Assistenti Sociali, Psicologi, Giudici del Tribunale per i Minorenni. Sono diventata mamma una mattina di aprile, all'improvviso. Il Giudice per il Tribunale dei Minorenni ci chiama, perché una bambina è stata lasciata in ospedale, non riconosciuta. Allora era lei che aspettavamo ed è noi che sta aspettando. Ci siamo adottate pochi giorni dopo, con uno sguardo lungo e reciproco, che mi piace sempre raccontare perché non lo dimenticherò mai. Con mia figlia spesso parliamo della sua storia. Un giorno mi ha chiesto: "Mamma, ma come si chiamava la ragazza che mi ha tenuto nel grembo e come era fatta? E io non lo so, perché ha scelto che la sua identità rimanga segreta. Allora le dico: un giorno se vorrai chiederemo al Tribunale se vuole domandarle di incontrarti e di conoscerti e di revocare quindi la scelta dell'anonimato. Potrebbe dire di sì, come potrebbe dire di no. In ogni caso se tu hai voglia di sapere come era fatta, vai allo specchio e guardati, perchè sono sicura che tu sia uguale a lei. Sono poi diventata mamma per la seconda volta in un paesino del Vietnam centrale, nella provincia di Lam Dong. Avevo aspettato 5 anni. 5 anni che detti così sembrano un numero, due parole, in realtà sono 1815 lunghissimi giorni. Che cominciano magari quando hai 37 anni una bambina di 4 e un momento tranquillo della vita della carriera, desideri allargare la famiglia e poi finiscono quando di anni ne hai 42. Hai una figlia che sta finendo le elementari un altro momento della vita e della carriera. C'è però una circostanza che unisce le mie figlie a distanza di tanti anni e di tanti chilometri e cioè che entrambe sono state lasciate, non appena sono state partorite, da due donne che non hanno potuto o voluto tenerle con se. Probabilmente non era il loro momento, non era la loro scelta probabilmente per dei gravissimi motivi. Gli stessi motivi per cui Madame Rosà ha cresciuto decine e decine di bambini delle sue colleghe prostitute. E allora oggi che è la Festa della Mamma, voglio fare gli auguri a tutte quante, le primipare, le secondipare, le terzipare, le quadripare però anche le nullipare come me, che tutti i giorni si destreggiano tra pannolini, poppate, accompagnamenti tra scuola, palestre, piscine, pediatri e dentisti. C'è una parola sola che ci accomuna tutte, naturali, adottive, affidatarie, eterosessuali, omosessuali: Mamma. Senza aggettivi, basta così". "Mi sono resa conto che qualcosa in me non andava, con un pennarello in mano. Stavo colorando, come facevo quasi tutti i pomeriggi, ma quel pomeriggio il pennarello sembrava scivolarmi via tra le dita. Avevo 3 anni: Neuropatia Periferica. La diagnosi precisa è arrivata 21 anni dopo, anni in cui ci sono state tantissime visite, tanti medici tanti controlli, tanti tentativi e anni in cui vedevo i miei genitori impotenti di fronte a qualcosa che loro non conoscevano. Sono cresciuta in un paese in provincia di Latina: Minturno. Quasi ogni giorno mi chiedevo: "Ma esiste nel mondo una bambina come me? Una persona nel mondo che vive le mie stesse difficoltà? Io volevo solamente essere uguale a tutti e ho iniziato a guardarmi con occhi diversi grazie a Salvatore. Lui mi ha amata nella mia interezza, così come ero. Io avevo 12 anni e lui 15 e dico sempre che siamo due bambini che si sono presi per mano e hanno iniziato a camminare insieme e anche quando le mie gambe non riuscivano più a farmi camminare, quei due bambini andavano avanti insieme. Quando avevo 21 anni mi sono resa conto che per me fare un passo era diventato veramente impossibile, però mi ostinavo nelle mie difficoltà. Piuttosto che accettare la carrozzina su cui sono seduta adesso. Non la volevo, non la accettavo, e sapete perché? Perché nel mio immaginario era legata a qualcosa di triste, era legata a persone tristi, che vivevano la loro vita a metà. Mi sono seduta su quella carrozzina grazie a Salvatore che mi ha guardata con la sua dolcezza e mi ha detto: "Noi non dobbiamo limitarci". E in poco tempo ho capito che stavo riconquistando quella libertà, quell'autonomia che avevo perso. Ho capito che la carrozzina è un mezzo, è un aiuto io sono Laura e sono piena di sogni e di progetti, la carrozzina mi aiuta a realizzarli. Come ad esempio stare dietro ai miei due bimbi. I miei bambini si chiamano Ferdinando e Andrea e con Salvatore avevamo questo grande desiderio, di diventare genitori e, insieme alla diagnosi, è arrivata la risposta che tanto aspettavamo, che tanto desideravamo. La mia malattia non si manifesta nei miei bambini, quello è stato il giorno più bello di tutta la mia vita. Però mi capita ancora di incontrare persone che si stupiscono di fronte alla mia maternità. Proprio qualche settimana fa avevo mio figlio piccolo sulle gambe e una signora mi ferma e mi chiede: "Ma è tuo"? E io le rispondo: "Si è mio", "Ma davvero? Come l'hai fatto?" E io dico: "Signora adesso farle una lezione di anatomia è un po' difficile, però con mio marito". Ai miei figli cerco di insegnare ogni giorno che le difficoltà nella vita ci saranno da affrontare, ma loro possono decidere come affrontarle, perché quello farà la differenza. E sapete cosa ho imparato io da loro? A guardare il mondo con naturalezza come quando mio figlio vede nella mia carrozzina una macchina con le ruote, su cui correre veloce. E mi capita di incontrare bambini che con la loro infinita curiosità mi guardano e spesso vengono rimproverati dai genitori perché fissare è maleducazione. Ma così facendo insegnano a girarsi dall'altra parte e io quando posso, gli dico che due occhi curiosi e sinceri di un bambino non possono mai essere maleducati. Piuttosto è la sensazione di sentirmi sbagliata per l'adulto ad imbarazzarmi. Ma questo non perché gli adulti siano cattivi e i bambini buoni ma perché i bambini vedono le cose così, con semplicità, senza condizionamenti e senza stereotipi esterni. Il mio augurio per la Festa della Mamma è che possiamo diventare adulti continuando a guardare le cose con gli occhi dei bambini perché con quegli occhi niente è diverso, è semplicemente fatto così". "La vita non ha un senso, anzi è la vita che ti dà un senso sempre che noi la lasciamo parlare. Perché prima dei poeti parla la vita. "Dobbiamo ascoltarla la vita, bisogna avere una dignità neanche difendersi alle volte è bello accettare il male. Non discutere mai da che parte viene". A questa frase di Alda Merini sono particolarmente legata perché qualche anno fa ho dovuto affrontare un dolore per il quale non ero pronta. Nel 2021 ero incinta, nel quinto mese, ma purtroppo dopo qualche giorno ho perso la mia bambina Johanna. Un giorno mi hanno detto che non ce l'avrebbe fatta, così ho dovuto partorirla lo stesso, ma lei non sarebbe nata viva. Un giorno indimenticabile, un dolore immenso che ha messo a dura prova la mia femminilità, la gioia di essere donna. Il momento che Johanna è uscita da me, insieme al dolore ho sentito una luce che mi abbagliava, qualcosa di eroico, di sacro, di trascendentale. L'elevata sensazione di non essere sola anche se lei non c'è, mi cammina sempre accanto. Sento la sua protezione. Arrivare ad accettare tutto questo è stato davvero difficile, ho attraversato un periodo buio di grande tristezza, mi sono impegnata tanto per ricominciare a gioire, mi sentivo profondamente triste e nello stesso momento consapevole e presente più che mai. Come quando da bambino diventi più alto i piedi ti fanno male e le scarpe che porti non ti stanno più. E poi la figura di mio marito Gianluca, che non mi ha mai lasciato la mano, silenzioso, potente, spettatore addolorato in una situazione che non sapeva e non poteva fare più di tanto. Le sue frasi: "Dimmi cosa vuoi che faccia, sono pronto", gli sarò eternamente grata con l'amore che mi ha accompagnato, soprattutto dopo, quando io ho messo tutto in discussione. Lacrime infinite, una strada solitaria, ero arrabbiata non mi rassegnavo a quello che fosse successo. Realizzare che ho partorito una bambina che non avrei mai potuto crescere. Il vuoto della pancia, il vuoto dell'anima. Impariamo ad accogliere queste storie, non bisogna indossare il vestito del terrore, ma è necessario essere informati e consapevoli che le cose qualche volta possono anche andare diversamente. Capitano a tantissime donne, una su cinque, che vivono un trauma, un dolore per cui la società non ha neanche le parole né spazio. Come è possibile che la morte sia basata sull'esperienza stessa della vita, che un neonato, succede. Ed ecco che la società spaventata dal vuoto ti chiede di sostituire quel lutto, di fare in fretta, ma il dolore non può essere sostituito può trasformarsi. Se ci concediamo del tempo per elaborare a cogliere la vita per quello che è, per quello che ti dà, per quello che ti toglie, all'inizio anch'io non sapevo come fare, avevo fretta di sostituire quel lutto con una nuova possibilità. Dunque con mio marito abbiamo provato subito ad avere un altro figlio, con la fecondazione assistita, senza riuscirci, e questo mi ha ferita ancora e ancora. Sono stati per me incredibili questi anni, in cui ho toccato la vita in ogni sua forma anche la più dolorosa. Natualmente da Gianluca, sì, perché è inutile negarlo, ci siamo allontanati e non è stato facile ritrovarsi, darsi la mano nel buio. Perché dolori così hanno bisogno di tempo, di cura, per essere elaborati. Non puoi pensare di superarli senza fare i conti con il fallimento della debolezza e la fragilità. Solo così il dolore trova il suo posto nel mosaico unico della nostra identità, facendo spazio a quello che verrà e lì, proprio lì ho cominciato a pensare: "Cosa vuole il mio corpo? Quali sono i suoi veri desideri? Di essere visto?, Amato?, Toccato?, Coccolato? che sia in centro sopra di qualsiasi pensiero che mi torturava, fino al parto di Joanna avevo avuto un comportamento e un atteggiamento sfrontato con il mio corpo. L'ho sempre trattato come fossi onnipotente. Invece bisogna solo amarlo, chiedere aiuto e stare vicino a quello che il cuore desidera. Il dolore non sparisce, si unisce con le nostre cellule e si trasforma. Una cosa mi è chiara adesso un enorme sentimento di gratitudine e di essere circondata dall'amore qui nella terra e dall'altra parte. Non ci può essere amore se non si è se stessi con tutte le proprie forze ed eccomi qui, questo momento su questo palco con Leontes in pancia, 27 settimane. Corpo mente e cuore sono pronti per lui non vedo l'ora di incontrarlo, di raccontarvi quanto l'abbiamo aspettato, di parlargli di Johanna e di insegnargli che non tutte le tempeste arrivano per distruggerti la vita, alcune arrivano per pulire il tuo cammino. A tutte le mamme: Non smettete di ascoltare la vita, tutto si trasforma". "E' un lavoro infame, quello di salire dopo di voi, e non so se riesco a farlo ma vi ringrazio: Elena Goretti, Laura Miola e Vasiliki Pierrakea, che anche ringrazio tantissimo, vi porto verso l'uscita, vi ringrazio da parte di tutti perché è stato un momento meraviglioso".

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