Il presidente della Cop28, il Sultano Al Jabber, dopo l'audio diffuso dal Guardian in cui esprime posizioni da negazionista climatico, cerca di salvare la conferenza. Convoca i giornalisti a sorpresa e dice che lui è sempre stato e sempre sarà dalla parte della scienza. Al suo fianco, quasi nel ruolo di garante, c'è il presidente dell'IPCC, cioè la Cassazione della Scienza del Clima. A lui il compito di raddrizzare il tiro e spiegare che, sì, per non superare il grado e mezzo di riscaldamento rispetto ai livelli preindustriali, e quindi restare nell'accordo di Parigi, occorre sbarazzarsi delle fonti fossili. Al Jabber parla dei successi ottenuti fino ad ora, su tutti l'attivazione del fondo per le perdite e i danni destinato ai Paesi più deboli. Accusa: "c'è un tentativo sistematico di minare il lavoro di questa presidenza". Non ci sta a passare per negazionista. Se queste parole basteranno ad allontanare lo spettro di un conflitto di interessi -il capo di un'azienda petrolifera di Stato chiamato a guidare un processo che dovrebbe eliminare le fonti fossili- lo vedremo nelle prossime ore. Intanto, qui a Dubai, per 24 ore la sensazione è stata quella di un negoziato a rischio il rischio. Il rischio di rimandare tutto alla prossima Cop, perdendo un anno prezioso. Nelle ore più drammatiche, ad esempio, Mia Mottley, Prima Ministra delle Barbados e leader tra le più autorevoli dei Paesi più in difficoltà con la crisi climatica, teneva un discorso che sembrava più un tentativo di abbassare i toni. Si continua a negoziare, insomma. Fino al prossimo colpo di scena.