Avvolti nelle coperte, per proteggersi dal freddo, vedono finalmente terra dopo più di una settimana. A bordo della nave che li ha salvati che ha cercato riparo dal maltempo nel porto di Augusta. 459 persone, famiglie con bambini e neonati, donne incinte, e uomini feriti e con i segni delle torture soccorsi in sette operazioni, tra la Libia e la Sicilia tra il 18 e il 22 novembre, su gommoni semi sgonfi e barconi il motore in avaria, alcuni quando erano già in mare, altri salvati non solo dal naufragio ma anche dai militari libici che non esitano, come più volte dimostrato da immagini e testimonianze, a usare la violenza sui sui migranti preferiscono morire in mare, piuttosto che tornare nei lager della Libia, e non esitano a minacciare di sequestro anche chi li soccorre. L'equipaggio della Seawatch ha registrato una comunicazione via radio in cui alla nave umanitaria viene intimato di allontanarsi, nonostante si trovasse in acque internazionali, altrimenti dice il militare vi portiamo in Libia; e sapete come sono le regole in Libia. Un esodo senza fine, nonostante i rischi e le violenze, si continua ad attraversare il Mediterraneo centrale dove l' OIM stima che, da inizio anno siano morte almeno 1300 persone, e dove in assenza di coordinate di soccorso sono presenti, al momento, solo le organizzazioni non governative come la Sea Watch, finanziata da una rete di associazioni religiose e laiche, nel tentativo di salvare vite umane. L'ultima è quella di una bambina nata poche ore prima dell'arrivo dei soccorritori su un barcone, nonostante il freddo e le condizioni proibitive per la sopravvivenza di un neonato, evacuata d'urgenza insieme con la mamma e alcune donne incinte e feriti prima che lo sbarco venisse autorizzato al porto di Augusta.