A dare l'annuncio non poteva che essere il suo giornale. Quel Manifesto, foglio comunista che aveva fondato nel 1969 segnando lo strappo con il Pci. Rossana Rossanda se ne va a 96 anni. La ragazza del secolo scorso, come si era definita nella sua autobiografia, era nata nel 1924 a Pola, in Istria, sul confine. E lungo il tormentato crinale del comunismo italiano ha percorso tutta la sua vita. Partigiana a nemmeno vent'anni, dirigente del Pci fino a diventare nel '62 Responsabile cultura del partito guidato da Togliatti, poi deputata l'anno seguente. In mezzo la repressione sovietica in Ungheria e poi in Cecoslovacchia. Quanto basta per fondare nel '69 il Manifesto, con Pintor, Parlato, Magri, Castellina, in rottura con l'Unione sovietica e la linea di Botteghe Oscure. Saranno radiati dal partito, ma avranno, avrà, uno strumento di informazione e battaglia politica più aperto e attento ai movimenti che in quegli anni scuotevano il mondo. Divenne in fretta un punto di riferimento per la sinistra critica Quasi un'icona, un mito per alcuni, immagine che Rossanda respingeva imbarazzata, descrivendo negli ultimi tempi un'Italia peggiorata, involgarita. Quello che mi ha salvato, spiegava, è la grande curiosità per la cultura e per la bellezza.