Walter Tobagi comincia a morire molti mesi prima di quella fredda mattina di maggio di 40 anni fa, quando viene ucciso con 5 colpi di pistola poco lontano dalla sua casa di Milano. Il giornalista del Corriere della Sera è seguito e pedinato dagli stessi uomini e dalle stesse donne che faranno parte del commando terrorista, ventenni o poco più. Alcuni di loro figli di quella borghesia delle idee che nella Milano degli anni di piombo è pericolosamente vicina alle teorie assassine del brigatismo rosso, quando non è addirittura complice. Walter ha 33 anni, è giovanissimo ma è già una delle firme di punta di via Solferino. È un convinto socialista, comincia come cronista sulle pagine dell'Avanti, il quotidiano del PSI, il passaggio al Corriere coincide con l'esplosione della violenza politica in Italia. Le stragi fasciste, il terrorismo comunista, gli scontri di piazza, una stagione di sangue, è la notte della Repubblica. Tobagi è uno di quei cronisti che si intestardiscono il voler raccontare le storie di giovani, quasi suoi coetanei, che scelgono di imbracciare un mitra per abbattere lo Stato, per colpire un sistema nemico descritto in decine di volantini e di proclami rivoluzionari. Comincia a vederne i punti di debolezza, a vedere le crepe di un disegno eversivo che però mina alla base la fragile democrazia italiana e intravede anche complicità, connivenze fra i politici, fra gli intellettuali, fra i suoi stessi colleghi giornalisti, soprattutto quelli progressisti, come lui. Scrisse Giampaolo Pansa, un altro dei grandi cronisti di quegli anni: "Tobagi aveva messo la mano nella nuvola nera. È qui che lui diventa un obiettivo, uno da eliminare. Sono sei gli autori dell'assassinio di Walter, secondo la sentenza del tribunale di Milano. Ci sono nomi che tutta la città conosce: il figlio di un dirigente di una casa editrice, il figlio di un critico cinematografico, terroristi subito pentiti che aiuteranno a smantellare la rete del terrore, anche se fra mille polemiche. Le ferite degli anni di piombo non si rimarginano facilmente o non si richiudono affatto, soprattutto per le famiglie delle vittime. Rimangono lì, come pezzi di memoria, come storia di quello che siamo stati, come pietre d'inciampo su quel che saremo. "Sono convinto che nessuna ideologia valga tutte le vite che sono state sacrificate nel '900, nemmeno una sola vita". Sono le parole di oggi di Luca Tobagi, il figlio di Walter, ucciso una fredda mattina di maggio di 40 anni fa.