Una diffusione di armi non tracciata del tutto, vuoti normativi e l'impossibilità di poter incrociare i dati sullo stato di salute dei possessori. L'ultimo grave caso di cronaca avvenuto a Roma mette a nudo diverse criticità. Chiunque può iscriversi in un poligono di tiro a segno nazionale anche se gli è stato negato il porto d'armi, anche se non l'ha ottenuto perché rappresenta una minaccia. Le strutture dove si pratica il tiro a segno sportivo non hanno l'obbligo di verificare se chi fa domanda di iscrizione ha avuto un diniego per il riporto darmi. C'è poi la questione della privacy e dei controlli. I medici di base delle ASL e i medici specialisti non hanno l'obbligo di comunicare alle autorità di pubblica sicurezza se un legale detentore di armi incorre in problemi di tipo neurologico in disturbi mentali di personalità e comportamentali o sia stato sottoposto a terapie farmacologiche che prevedono l'uso di psicofarmaci che possono anche temporaneamente interferire con lo stato di vigilanza o che abbiano ripercussioni invalidanti di carattere motorio statico e dinamico. E poi, i difetti di comunicazione a livello burocratico: è accaduto che un'arma detenuta legalmente passasse da una persona deceduta nelle mani di un familiare che non l'ha poi restituita alle autorità come prescritto dalla legge. Emblematico è il caso di Ardea in provincia di Roma nel giugno del 2021, quando Andrea Pignani, poco più di 30 anni, ha ucciso due fratellini, 5 e 10 anni, un pensionato di 74 anni per poi togliersi la vita. Aveva problemi psichici ed era stato sottoposto a un TSO un anno prima. Ha ucciso e si è ucciso con l'arma del padre. Una guardia giurata. Arma che non aveva restituito alle autorità.























