Quando il titolare dell'azienda di fuochi d'artificio, che porta il suo nome, varca la soglia della fabbrica il giorno dopo l'inferno di fuoco che l’ha distrutta, la disperazione ha il sopravvento. In questa tragedia lui ha perso la moglie, il figlio è in fin di vita per aver tentato di soccorrere la madre e quattro operai sono morti. Tra le lacrime ripete: “Questa fabbrica era la più sicura.” Vito Costa è salvo solo perché quando un boato ha scosso la zona, come un terremoto sentito a chilometri di distanza, si era appena allontanato dalla sua azienda, tra gli uliveti sul mare della costa messinese. Fino a quel momento aveva supervisionato i delicati lavori per la messa in sicurezza dei locali, affidati ad una ditta esterna. Poi qualcosa deve essere andato storto e potrebbe essere stato l'uso di un saldatore a rivelarsi fatale. “La prima ricostruzione che abbiamo fatto è che ci sia stata disattenzione, tra virgolette, ma è una parola ovviamente leggera rispetto a quello che è successo. Che le scintille abbiano preso contatto con dei coloranti altamente infiammabili, che da lì questi coloranti abbiamo fatto da miccia per le successive esplosioni.” Un'esplosione così violenta da disintegrare alcune delle palazzine in cemento armato, che ospitavano il laboratorio per la preparazione dei fuochi e i depositi per la conservazione della polvere da sparo. “Il capannone è relativamente piccolo, tutto in cemento armato, che è stato raso al suolo, cioè se lo colpiva un missile non avrebbe avuto effetto diverso.” Il lavoro di recupero e riconoscimento delle salme dilaniate dall'esplosione, è stato particolarmente lungo e difficile, nella fabbrica che rimane sotto sequestro e in cui vanno avanti verifiche e sopralluoghi per mettere in sicurezza tutta l'area. “Questa è una morte per lavoro, questa è la cosa triste. Nel 2020 si muore per poter lavorare e questa è la cosa più triste, da siciliano”.