Nessun colpo di scena, nessun asso nella manica. Al processo d’appello a carico di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo in primo grado per la morte di Yara Gambirasio, la difesa aveva annunciato una prova che avrebbe scagionato il muratore di Mapello. Si tratta di una fotografia satellitare del campo di Chignolo d’Isola, dove Yara venne ritrovata, che dimostrerebbe che il cadavere non rimase tre mesi in quel campo. Le stesse fotografie le aveva anche la Polizia giudiziaria e le ha ritenute irrilevanti – fa notare l’accusa – perché la prova regina è un’altra e non è in discussione, si tratta di quel Dna di Bossetti trovato sugli slip di Yara, che durante la prima udienza d’appello il Pg Marco Martani ha definito supportato da dati statistici che raramente sono stati così rassicuranti sui livelli di probabilità come in questa indagine. “Qui – ha ribadito Martani nel suo intervento – si può dire che non esiste tra miliardi di persone sulla terra un altro soggetto con il Dna attribuito a Bossetti”. Insomma, quella di primo grado, secondo il Pg, è una sentenza ineccepibile. Riguardo poi al movente, Martani ha smorzato l’ipotesi di avance sessuali respinte, chiarendo che è solo una delle ipotesi. In programma ci sono altre tre udienze nelle quali parleranno le difese e poi ci sarà la sentenza. Intanto a Brescia è andato in scena, ancora una volta, il processo mediatico a Bossetti tra innocentisti e colpevolisti, illustri sconosciuti esperti di ogni genere e avvocati mai visti prima, tutti alla ricerca di notorietà al di là di ogni ragionevole dubbio.