“Il Dna trovato sul corpo di Yara è sicuramente di Massimo Bossetti”, scrivono i giudici della Corte d’assise e d’appello di Brescia, nelle motivazioni della sentenza che il 17 luglio 2017 ha confermato l’ergastolo per il muratore di Mapello, accusato di essere l’assassino della tredicenne di Brembate di Sopra. “Non è necessaria nessuna ulteriore perizia per confermare dei dati scientifici ottenuti con procedure riconosciute e conformi ai parametri internazionali”, ha sottolineato la Corte. Motivano la loro decisione con un ragionamento per punti, i giudici. “È assolutamente pacifico e non contestato che il profilo genetico di Ignoto 1 sia indiscutibilmente risultato appartenere a Bossetti Massimo”, scrivono. “Sui reperti (slip e leggings di Yara) è stata accertata soltanto la presenza del Dna della vittima e di Ignoto 1”, continuano. Se il risultato provato è che Yara e Bossetti non si frequentavano, si deve ritenere accertato che il Dna sugli indumenti della vittima non fosse presente prima del delitto – concludono i giudici – e quindi il fatto che sia stato trovato lì dimostra inequivocabilmente che sia stato deposto dall’autore del crimine al momento del ferimento”. Mettono nero su bianco che la traccia, costituita dal profilo genetico nucleare dell’imputato, viene a costituire la firma dell’omicidio della povera Yara. Inoltre – aggiungono i giudici – gli altri elementi probatori emersi nella lunga istruttoria risultano gravi, precisi e concordanti. Uno su tutti: Bossetti non era a casa al momento della sparizione di Yara e si trovava nelle vicinanze della palestra, con il suo furgone.