Questa almeno era una casa. Satnam Singh, il bracciante abbandonato senza un braccio dopo un incidente nella azienda agricola in cui lavorava, è morto dopo due giorni di agonia al San Camillo di Roma, e sua moglie Sony avevano vissuto per due anni in una stalla nelle campagne del napoletano prima di approdare nell'agro pontino. Un piccolo passo avanti. I due erano arrivati a Borgo Bainsizza, tra Cisterna e Latina, senza documenti con tanta voglia di lavorare e un sogno. Stare meglio, riuscire a sistemarsi, avere dei figli. Una vita dura, ma sempre con il sorriso. Sveglia all'alba, 8 km di bici per arrivare nei campi, 12 ore di lavoro per pochi euro l'ora. Vivevano insieme a Noemi Grifo e Ilario Pepe, testimoni dell'abbandono dopo l'infortunio e primi soccorritori. La famiglia che ancora protegge Sony sconvolta dalla morte di Satnam e assistita dai sanitari. "Si è tagliato, ma l'ha detto come se fosse niente, qualche punto. Io gli ho detto, scusa ma se si è tagliato lo porti qua? Ce la vuoi dare una mano? E ma da me non sta in regola. Ha preso ed è scappato". Avevo avvisato di non toccare quel macchinario, ma lui ha fatto di testa sua. Una leggerezza purtroppo. Le parole di Renzo Lovato titolare dell'azienda agricola in cui è avvenuto l'incidente. Così dopo l'orrore dell'abbandono, lo sconcerto per le parole del padre di Antonello Lovato, il giovane che ha scaricato Satnam Singh senza un braccio non all'ospedale, ma in questa casa, correndo via pensando che fosse morto. Ora s'indaga per omicidio colposo. Una storia che mobilita i sindacati, le istruzioni e il governo, per colmare la distanza tra l'Italia legale e quella che ricorda le campagne di secoli fa.























