25 anni di pena scontata in carcere. Ora per il boss mafioso Giovanni Brusca, 64 anni, è arrivata la fine pena e ha così lasciato il carcere di Rebibbia, a Roma, con 45 giorni di anticipo rispetto alla scadenza della condanna per buona condotta. Sarà sottoposto a controlli e protezioni e a quattro anni di libertà vigilata, come deciso dalla Corte d'Appello di Milano. Brusca è stato fedelissimo del capo dei capi di Cosa Nostra, Totò Riina, prima di diventare un collaboratore di giustizia ammettendo, tra l'altro, il suo ruolo nella strage di Capaci e nell'uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo. Una collaborazione con la giustizia, la sua, piuttosto discussa. Brusca venne arrestato da agenti della Polizia di Stato il 20 maggio del 1996, in una villetta vicino ad Agrigento, dove il boss era con il fratello Enzo e le rispettive mogli e figli. Davanti alla prospettiva di trascorrere in carcere il resto della vita, Brusca svela ai magistrati di tutte le Procure d'Italia segreti e retroscena di Cosa Nostra, non solo dell'ala militare ma anche di quella che ha avuto contatti con il mondo politico e imprenditoriale. Nei lunghi interrogatori davanti ai magistrati, che si occupavano anche delle stragi del 1992-93, il boss ha ammesso di aver premuto il telecomando Capaci e fatto sciogliere nell'acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio undicenne del pentito Santino Di Matteo, strangolato e sciolto nell'acido per vendetta nei confronti del padre che aveva parlato con i magistrati. Ha rievocato le riunioni in cui fu decisa la strategia criminale di Cosa Nostra, ha accusato altri boss, ha parlato degli aggiustamenti dei processi. Oltre a ricostruire una lunga catena di sangue Brusca ha parlato anche dei rapporti tra Cosa Nostra, la politica e la vasta area grigia dei fiancheggiatori. Ora dovrà essere trattato con tutte le cautele previste per un personaggio della sua caratura criminale. Nel 2002 Brusca si è sposato, in carcere, con la sua compagna dalla quale aveva avuto un figlio.