I raccoglitori per i vapori i esalati delle benzine non sempre funzionavano, e talvolta venivano chiuse alcune pensiline. Questo però non è accaduto lunedì scorso al deposito ENI di Calenzano, quando contestualmente all'esplosione alla numero 6, un carrello si stava sollevando e una cisterna era in rifornimento, mentre alla numero 7 in corso c'era una manutenzione straordinaria. Primi elementi nelle carte dell'inchiesta a cui si aggiungeranno i pareri dei periti, esperti di impiantistica di tutela dei lavoratori, che lunedì prossimo torneranno nel deposito. Mentre altri periti si stanno occupando dell'esplosione e altri ancora dell'attribuzione dell'identità ai resti umani. Le salme saranno liberate per i funerali tutte insieme, presumibilmente martedì. Sono in fase di acquisizione sia i piani di sicurezza interni sia quelli esterni. Il piano di emergenza esterna concordato con ENI, prefettura e amministrazioni locali fissava la fascia di pericolo massima entro gli 80 metri dal punto dell'incidente, quella moderata entro i 130 metri e considerava nulli i rischi oltre i 200. Il sindaco di Calenzano parla oggi di un piano inadeguato: "Questo incidente è arrivato addirittura a generare danni a 2 chilometri di distanza, quindi evidentemente le ricadute erano anche al di là. Non c'era nessuna normativa che definiva l'area di rispetto, rispetto a questi impianti. Tant'è che contestualmente all'impianto sono state sviluppate le attività produttive quando non c'era una pianificazione urbanistica". Ma oggi esiste una questione di congruità tra il piano, il deposito e quello che gli è cresciuto intorno, suggeriscono gli inquirenti.