I dati parlano chiaro, in Italia il 62% di chi sconta una condanna è già stato in carcere, ma la recidiva si riduce al 2% tra coloro che hanno intrapreso un percorso lavorativo. Secondo l'osservatorio Tea Group la lettura è univoca, il lavoro rappresenta il mezzo più efficace di reinserimento e d'inclusione per un detenuto. Si tratta di un argomento socialmente molto rilevante studiato e approfondito dal gruppo Giovani imprenditori dell'unione industriale di Torino. "Noi dobbiamo aprire le nostre aziende, far sì che queste persone possano essere inserite abbattendo gli stigmi, perché ovviamente sono ancora fortissimi per onor di verità tra le persone che accolgono un carcerato però, i risultati sono notevoli sia dal punto di vista dell'integrazione di queste persone. Dopo poche settimane le persone dell'azienda sono molto colpite dalla presenza di queste persone, anche sono contente di averle aiutate in qualche modo ad avere avuto una seconda opportunità." Eppure solo un terzo dei detenuti attualmente svolge attività professionali e per lo più all'interno dell'amministrazione penitenziaria e appena l'1% lavora per un'azienda privata. Ecco perché è necessario favorire l'incontro tra chi un lavoro può offrirlo e chi, seppure in grande difficoltà, lo cerca o lo cercherà. "Portare le imprese all'interno degli istituti affinché rappresentino le loro necessità, istituire insieme alla regione dei corsi di formazione che forniscano le basi per poter aderire. Ma l'elemento principale è la capacità dei detenuti di beneficiare di queste iniziative. Noi abbiamo una popolazione detenuta che in larga parte è ancora indietro rispetto a questa capacità, deve ancora fare i conti con la propria capacità di programmare un futuro, la propria capacità di comprendere le ragioni per le quali è detenuto.".