“Ho sbagliato, è vero, ma certo non ero da solo”. Assomiglia più a un attacco che a una difesa la posizione di Luca Palamara, che alla fine della scorsa settimana, sull'onda dello scandalo delle nomine pilotate in Magistratura, è stato espulso dall'Associazione Nazionale Magistrati di cui era stato Presidente fra il 2008 e il 2012. Un attacco ai colleghi che, stando al suo racconto, sostenevano le regole di quel gioco che prevedeva di orientare per convenienza le nomine a incarichi direttivi in alcuni degli uffici giudiziari più importanti d'Italia. La Prima Commissione del Consiglio superiore della Magistratura, quella, per capirci, che decide sui trasferimenti d'ufficio, ha acceso un faro sulle posizioni di una ventina di magistrati che compaiono nelle chat rilevate nel cellulare di Palamara che attualmente è sotto inchiesta a Perugia per corruzione. Il CSM vuole valutare se il tenore di quelle conversazioni supera la soglia dell'opportunità e quindi rischia di mettere a rischio la credibilità dell'incarico ricoperto oggi e, nel caso, si prepara a sottoporre al plenum del Consiglio l'ipotesi di prendere provvedimenti. Il trasferimento, appunto. Certo, pesano eccome le parole di fuoco che, nei giorni scorsi, il Presidente della Repubblica, che la nostra Costituzione mette capo del CSM, aveva usato per descrivere la degenerazione del sistema delle nomine. Mattarella aveva parlato di “modestia etica” per esprimere il suo sconcerto. “Io però non ero da solo”, ribadisce Palamara. E fra i colleghi magistrati magistrati protagonisti di quelle chat delle conversazioni telefoniche, oltre che delle sue allusioni più o meno dirette, c'è già chi ha annunciato querele.