"Spero prendano il colpevole, non per vendetta, ma perché non faccia del male a qualcun altro", sono le prime parole di Bruno Verzeni, dopo i 18 giorni di silenzio assoluto in cui si era chiuso dal giorno della morte della figlia Sharon, la 33enne barista accoltellata a Terno d'Isola, nella bergamasca, il 30 luglio scorso. "E spero", aggiunge, "che trovino qualcuno, se esiste, che abbia il coraggio di dire quello che ha visto". Parole perfettamente in linea, queste, con l'appello lanciato fin dalle prime ore dagli inquirenti: chi sa parli. Perché di persone in quella notte, prima e dopo l'omicidio ce n'erano in giro. L'intrigo di vicoli intorno a Via Castegnate è densamente videosorvegliato, e nonostante l'ora tarda, poco prima dell'una di notte, c'è un grande passaggio di persone a piedi, in bicicletta, in auto attorno alla scena del crimine. Ed è questa la prima e principale direzione che hanno preso le indagini: identificare uno per uno chi era per strada quella notte. Molti sono stati identificati, altri lo saranno nei prossimi giorni, domande: dove andavi, perché eri in giro, cosa hai visto. Investigazione classica, perché tra loro, qualcuno che ha visto o sentito ci deve pur essere, si dicono gli investigatori. E tra le persone che alla fine saranno state identificate ci deve essere anche l'assassino o l'assassina. I Carabinieri non attendono certo i risultati delle analisi del RIS sui reperti, ma è chiaro che la presenza di un DNA significativo sui vestiti o sul corpo della vittima, potrebbe dare una mano. Proseguono gli accertamenti su alcuni profili genetici prelevati negli ultimi giorni, una trentina, le profilazioni non si concentrano solo sui residenti di Via Castegnate, ma su chiunque possa in qualche modo aver avuto a che fare con la vittima. Si deve escludere chi fosse legittimamente lì, come i soccorritori, e si deve trovare un movente. "Non riesco a darmi una spiegazione", dici ancora Bruno Verzeni, "nessuno poteva avercela con lei, non ha mai fatto male a una mosca".