Il 21 febbraio, era venerdì, e mi ricordo che ci sono arrivate le indicazioni di chiusura delle chiese, già subito, quel pomeriggio. A noi, qui, all'inizio era stato proibito di uscire, di lasciare la zona rossa, ma di fatto la nostra vita, all'interno della zona rossa, era tutto sommato abbastanza lineare, cioè, potevamo uscire, potevamo andare a fare le passeggiate, potevamo andare sull'argine in bicicletta, purché dentro i confini dell'area rossa. Prima del 21 febbraio, ero un impiegato, lavoravo a Milano e la mia vita era la gestione di cantiere. Dopo il 21 febbraio, diciamo che la normalità non è più stata quella che vivevo giorno per giorno, prima. Siamo stati chiamati in questa emergenza in fretta e furia, un'emergenza difficile, mai provata, quindi non ci sono procedure da cui potevamo attingere, quindi, non è stato semplice. Io dal primo giorno dell'emergenza, dove hanno chiuso Codogno, come zona rossa, ho smesso di lavorare in tutti gli ambiti, sia negli ospedali che nel mio laboratorio. Nei primi giorni, non ho neanche avvertito tantissimo la stazione di emergenza, pur avendo due figli a Milano e una sola qua, con me. Quella che è qua con me, però, è laureanda in medicina al San Matteo di Pavia, a un certo punto ha cominciato a chiedermi di comportarmi diversamente, in modo molto pressante. A quel punto io ho chiesto: perché mi stai improvvisamente chiedendo un comportamento molto diverso, molto più attento? Lei, mi ha risposto: “Mamma, mi hanno comunicato che a San Matteo siamo in triage di guerra”. Non è semplice trovare le parole, ne abbiamo passate di tutti i colori, le richieste sono state tantissime, dalle spese, ai farmaci, a portare persone all'ospedale, andare a ritirare, purtroppo, degli effetti personali di persone decedute. Abbiamo avvertito un senso di paura che diventava progressivamente anche panico perché si avvertiva, che i malati aumentavano, incominciavano anche i decessi. Io stesso, sulla mia pelle, ho perso anche 12 persone e non c'è stato nemmeno il momento di salutarle queste persone. Per la verità, c'era stato qui, nel periodo del mese di gennaio già, ma soprattutto febbraio, diverse polmoniti, qui, all'ospedale di Codogno, di cui non si riusciva a capire la causa. Sono stati 60 giorni faticosi, inizialmente sotto il profilo della gestione dell'emergenza sanitaria, poi, sempre di più, invece, sotto il profilo dell'emergenza sociale che oggi qui si fa sentire in modo piuttosto pesante. Sono tante settimane che le attività sono ferme, sono molte settimane che la gente non può riprendere anche quei piccoli lavoretti che magari integravano pensioni minime. I problemi ci sono problemi, per esempio, problemi dell'occupazione, problemi delle imprese, problemi dell'artigianato, problemi anche del commercio che sono forti e adesso si sentono ancora di più. È un carico veramente grande che abbiamo dietro, non so quanto tempo ci vorrà per riuscire a smaltirlo. Io spero che le cose cambino. Io spero che questo periodo possiamo lasciarcelo alle spalle e di gettare questa mascherina che adesso ci sta proteggendo. Vorrei ritornare a vedere la gente che sorrideva come prima.