Un'avvocatessa che avrebbe messo a disposizione il suo studio per summit di mafia tra boss che si occupava di veicolare messaggi detenuto al 41 bis fuori dal carcere. Due agenti della polizia di stato in manette per favoreggiamento e violazione del segreto informatico. Boss delle famiglie mafiose di Agrigento, Caltanissetta e Trapani in manette. C'è tutto questo nel 950 pagine dell'ordinanza dell'inchiesta della Dda di Palermo, che nella notte ha portato all'arresto di 23 persone. Le indagini portate avanti per due anni dai Carabinieri del Ros hanno scoperchiato un vaso di Pandora fatto di complicità, connivenze corruzione, malaffare. L'avvocatessa arrestata si chiama Angela Porcello e secondo gli investigatori, sarebbe stata di fatto la portavoce dei clan, occupandosi di recapitare informazioni e ordini ai boss in cella. In manette anche Antonio Gallea, capomafia nisseno condannato a 25 anni per essere stato il mandante dell'omicidio del giudice Rosario Livatino, godendo di permessi premio, avrebbe ripreso in mano le redini della mafia nissena. Tra i destinatari dell'ordine custodia cautelare, c'è anche il latitante Matteo Messina Denaro, che viene più volte citato dai boss durante le loro conversazioni intercettate. È a lui che ci si rivolge per dirimere questioni di potere e per gestire gli affari, segno, scrivono i magistrati, che la sua figura è apicale all'interno dell'organizzazione mafiosa. Un'inchiesta che ancora non si è conclusa. Fra gli indagati figurano anche agenti della polizia penitenziaria di un carcere di sicurezza di Novara, lì boss detenuti al 41 bis avevano la possibilità di parlare liberamente tra loro e di organizzare strategie per poi inviare all'esterno i propri messaggi. Il tutto grazie alla complicità e al mancato controllo da parte degli agenti.