L’inchiesta del Consiglio superiore della magistratura sui metodi di indagine dei pm di Napoli, Henry John Woodcock, potrebbe anche concludersi con il trasferimento d’ufficio di quest’ultimo per incompatibilità ambientale e funzionale. Lo deciderà nelle prossime settimane la I Commissione dell’organo di autogoverno dei giudici. Il procuratore generale di Napoli, Luigi Riello, che esercita la vigilanza sui magistrati del distretto, ha inviato una nota ad hoc al Csm in cui, tra le altre cose, fa presente le modalità con cui è stata indagata dai pm napoletani una donna magistrato, Rosita D’Angiolella, oggi giudice al Tribunale di Milano. Il nome della magistrata finì sui giornali prima ancora che la donna sapesse di essere indagata. L’iniziativa del Csm non è nuova e non sarebbe nemmeno un dramma perché può capitare e capita di doversi occupare della correttezza delle procedure di indagine degli inquirenti. Nel caso di Woodcock, i suoi colleghi dovranno però giudicarlo su presunte irregolarità, inesattezze, fughe di notizie ed altre supposte deficienze in inchieste che hanno tenuto banco negli ultimi due anni: le presunte mazzette per aggiustare appalti per centinaia di milioni di euro alla Consip, la centrale degli acquisti della pubblica amministrazione, un’inchiesta delicatissima finita in massima parte già sui giornali prima di arrivare in aula di udienza e che vede indagati anche l’amico ministro e il papà dell’ex premier, Matteo Renzi, Luca Lotti e Tiziano Renzi, oltre al caos in cui ha lasciato i vertici dell’Arma dei Carabinieri il capitano del NOE, Giampaolo Scafarto, primo collaboratore di Woodcock in questa inchiesta, indagato per falso in quanto avrebbe redatto informative non veritiera all’autorità giudiziaria sia sul papà di Renzi che su ingerenze mai avvenute dei servizi segreti per depistare l’inchiesta Consip. Questa pratica, che fa rischiare il trasferimento a Woodcock, va ad aggiungersi ad un’altra che pende da quasi due anni a Palazzo dei Marescialli, quella sulle intercettazioni ambientali tra il generale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi e l’allora premier Matteo Renzi disposte nell’ambito di un’altra inchiesta della Procura di Napoli, quella sul CPL Concordia, finita anch’essa sui giornali prima ancora che in aula di udienza.