Fare cose vecchie, in modo nuovo, questo significa innovare. Le aziende italiane lo sanno fare bene e alcune ci hanno provato anche durante il lockdown. L'idea alla base è che di solito l'innovazione porta al cambiamento, in questo caso il cambiamento che abbiamo subito dall'esterno, ci ha costretti all'innovazione. Durante il lockdown ci siamo messi a studiare materie che non conoscevamo, quindi, le normative riguardo ai dispositivi medici e di protezione. Più che altro, abbiamo cercato di fare innovazione a livello di servizio, quindi ci siamo mossi da il monouso al pluriuso. Così, in questo stabilimento, a Cantagallo, nella Provincia di Prato, una cinquantina di dipendenti, su 160, hanno cominciato con le tute. Ne sono state fin qui prodotte e donate un migliaio, all'Ospedale Santo Stefano di Prato, e 700 alla Protezione Civile. Riutilizzabili, perché il tessuto è stato trattato con un prodotto chimico per l'abbigliamento, antibatterico e antivirale. Poi, è stata pensata un'intera collezione anti Covid. Abbiamo voluto cercare di portare il capo, e quindi il tessuto del capo, da possibile vettore di un contagio a una protezione, invece, per l'utilizzatore. Abbiamo cercato di fare dei capi che potessero permettere all'utilizzatore di stare al sicuro con quello che indossa ogni giorno, tutti i giorni e per tutto il giorno. Dalla tutta, quindi, si è passati al trattamento per quasi tutti gli altri indumenti e in un mese e mezzo la rivoluzione si è compiuta, potendo contare su una filiera interna molto estesa, dal filo si arriva alla tessitura, poi al lavaggio. La parte per noi più interessante è quella del finissaggio, il tessuto qui viene immerso nella soluzione di acque prodotto, costituito da ioni d'argento che inibiscono i batteri e da una parte lipidica che incapsula il virus. Vi è poi una pressione uniforme e l'asciugatura a 110 gradi, così diventa capace di ridurre, fino al 99 per cento, il rischio di contaminazione, come sostengono diverse certificazioni internazionali.