Avevamo subito denunciato il problema dei dispositivi di protezione individuale che assolutamente mancavano ed eravamo sguarniti. La cosa che ci faceva più paura, più rabbia era che i nostri dirigenti sottovalutavano pesantemente la situazione. Anzi, diciamo, etichettandoci come delle persone che volevano creare allarmismi all'interno della nostra struttura. È fine Febbraio, quando il personale sanitario del Golgi Redaelli di Milano si accorge che qualche misura andrebbe presa. Quanto sta accadendo a Codogno, potrebbe arrivare anche qui e gli ospiti rappresentano la fascia più debole, la fascia da proteggere. A parlare è uno degli infermieri della struttura che ospita quasi trecento pazienti, dove sono morte 76 persone dal 12 Marzo al 9 Aprile, secondo l'esposto presentato alla procura di Milano dai sindacati di base Usb. “La prima mascherina l'abbiamo indossata dopo il primo caso covid conclamato il 15 Marzo scorso“, continua racconto “ed è stato allestito solo allora un reparto dedicato covid“. A perdere la vita non sono solo gli ospiti della struttura. Sono due gli operatori mancati e per uno di loro potrebbe essere stato il covid la causa. La prima sicuramente non è stata protetta, né in qualche modo sia dall'amministrazione sia dal medico competente, sia dei coordinatori. Sicuramente lei era una signora che aveva qualche patologia comunque regressa le cosiddette comorbosità. E non è stata protetta, neanche sono stati dati i dispositivi di protezione. Hanno saputo della collega tramite la famiglia. Il personale sanitario si è tutto stretto tipo famiglia, le comunicazioni sono diciamo avvenute anche dello stato di salute dei vari colleghi. E ora il personale è ridotto. Il problema adesso, all'interno della struttura, non è tanto dei dispositivi di protezione, ma del personale. Infatti si rasenta quasi l'abbandono dei pazienti. È come stare in guerra, al fronte.