Il mondo ha spento il motore. Un essere umano su due è bloccato in casa, strade vuote, mobilità congelata, metropoli rarefatte e irreali. Spostarsi, almeno per ora, è fuorilegge. Il primo mese di lockdown ha numeri inimmaginabili. Fermi praticamente tutti gli oltre 200 impianti di produzione e assemblaggio in Europa. Fabbriche chiuse anche oltreoceano con licenziamenti e cassa integrazione. Paralizzata la componentistica e i concessionari, annullati o rinviati i saloni. Indotto in ginocchio. Il Convention Center di Detroit è trasformato in un ospedale da campo. Distese di auto a noleggio ferme, inutilizzate. Il tracollo verticale del car rental e del car sharing. Solo nel nostro continente 14 milioni di posti di lavoro sono a rischio e in Italia l'11% del Pil vive la peggiore crisi della sua storia. Il mondo dell'automotive però, per definizione, non riesce a fermarsi. Innanzitutto prova a riconvertire la produzione. Alcuni reparti fino a ieri sfornavano componenti elettroniche o interni; oggi realizzano macchinari e dispositivi medici fondamentali nella lotta contro il coronavirus. Elettrovalvole per ventilatori polmonari, visiere protettive e mascherine. Da Seat a Ford, da Volkswagen a Tesla, gli addetti sono già al lavoro, in sinergia con aziende specializzate. E poi si pensa alla ripartenza. FCA prova a riaprire le fabbriche già a metà mese. Oltreoceano ci si organizza per il 4 di maggio, con operai a lavoro in modalità Covid. Certo, nulla sarà come prima. La conversione all'elettrico forse rallenterà. Qualcuno parla di ritorno al diesel. Scompariranno i saloni? Chi può dirlo. E i limiti alle emissioni di CO2 potrebbero essere rivisti, perché persino l'aria non è più la stessa. L'importante è tornare a muoversi.