Dal 10 al 5% in 24 ore, ad abbassare drasticamente la percentuale di positivi non è purtroppo il calo improvviso dei contagi, ma il raddoppio dei tamponi conteggiati. Accanto ai molecolari quelli tradizionali, usati sin dalla prima ora per rilevare la presenza di SARS Cov2 nell'organismo dal 15 gennaio sono considerati anche i cosiddetti rapidi, i test antigenici che restituiscono il risultato in pochi minuti e che ormai da qualche mese vengono effettuati in aeroporti, farmacie, ma che fino a poco fa non erano inseriti nei conteggi. Va da se che quindi aumentanto la variabile tamponi il tasso di positività sia inevitabilmente molto più basso. Prendiamo come esempio il bollettino del 14 gennaio, il giorno prima dell'introduzione del nuovo parametro, i tamponi erano stati 160585. Incremento quotidiano dei casi 17246 e la percentuale quindi del 10,7%. Il 15 gennaio, il giorno dopo, con l'inserimento dei test rapidi avevamo registrato 16146 nuovi casi a fronte di 273506 tamponi totali di cui però 116859 antigenici. Ed ecco il tasso di positività improvvisamente dimezzato, pari al 5,9%, ma calcolando l'incidenza solo sui molecolari il valore sarebbe rimasto stabile al 10%. Anche l'Italia, come altri Paesi avevano già fatto prima, aggiorna dunque il metodo, ma se questo da una parte lascia speranza di una fotografia più precisa della diffusione del virus, d'altra parte potrebbe generare confusione. L'affidabilità di questi test è differente se di prima, seconda o terza generazione, distinzione che però non viene specificata nel bollettino del Ministero, inoltre, alcune regioni non comunichiamo il dato dei tamponi antigenici separatamente mentre altre sì. Insomma, diventa complicato anche il confronto dei dati.