Angela ha 29 anni. È al secondo di specializzazione in Anestesia e Rianimazione. Da due mesi è in corsia in Terapia Intensiva Covid al Papa Giovanni XXIII di Bergamo: le procedure sono ancora più complesse. Ma il primo aspetto di cui ci parla è quello umano. "Vivere la terapia intensiva nel periodo Covid prevede anche il fatto che i nostri pazienti non possono avere il contatto con i parenti, quindi il fatto di essere noi le uniche persone che possono dargli del sostegno, oltre a tutto l'aspetto critico della malattia, quindi associare queste due componenti sia lavorativa-tecnica che anche umana, inizialmente è stato molto difficile". I volti le storie che restano impressi nella memoria. "La storia che mi ha colpito di più è stata quella di marito e moglie che sono stati ricoverati insieme qui da noi, vicini tra l'altro di letto, e il marito purtroppo non ce l'ha fatta ed è stata un'esperienza molto dura perché comunque noi vediamo tutto inizialmente da un punto di vista clinico ma poi quando ci si interfaccia con l'aspetto umano ci rendiamo conto che ci troviamo proprio di fronte a delle tragedie". Anche Dario è qui da due mesi. Lui di anni ne ha 27. "Non ho mai visto una terapia intensiva non Covid", ci dice subito. "Quello che più mi ha colpito è le condizioni critiche di tutti questi pazienti qui dentro e anche l'età, sinceramente, l'età.. spesso pazienti che magari non si pensa possano stare così male e in realtà andavano in condizioni critiche a volte anche morendo". "Impariamo tanto e velocemente" ci raccontano mentre li seguiamo in corsia. Giulia analizza i pro e i contro. "Da un lato dal punto di vista formativo potrebbe essere limitante perché invece di vedere una rianimazione pluripatologica ci concentriamo sulla patologia. Dal punto di vista umano è ancora più impegnativo perché ci troviamo, soprattutto in questa ondata dove i vaccini sono disponibili ormai da un anno, ad avere a che fare con pazienti che perlopiù non sono vaccinati, parenti con i quali spesso la relazione è difficile e questo è quello che a me ha più colpito rispetto ai casi singoli. Perché soprattutto i primi giorni, le prime settimane in cui ero qua, mi sentivo anche frustrata".























