44 anni fa veniva approvata la legge 194 che, dopo lunghe battaglie, rendeva legale in Italia l'interruzione volontaria di gravidanza. Nel nostro Paese una donna può abortire entro i primi 90 giorni di gestazione. Dopo può farlo se il medico certifica che ci sono gravi pericoli per la sua vita o la sua salute fisica o psicologica. Nel 2019 le IVG in Italia sono state 73mila circa. Un dato che conferma il calo costante degli aborti dopo il picco dei primi anni ottanta. Ma nel nostro Paese quasi 7 ginecologi su 10 sono obiettori di coscienza, così come il 43% degli anestesisti e il 37% del personale non medico che quindi non offrono assistenza e cure necessarie a chi vuole abortire. L'accesso agli interventi di interruzione volontaria di gravidanza appare quindi molto complicato in alcune zone del Paese. Ma i dati: una ricerca portata avanti dall'Associazione Luca Coscioni, conta per esempio 31 strutture sanitarie con il 100% di obiettori di coscienza e più di 80 con un tasso superiore all'80%. Una situazione che cambia da regione a regione e da provincia a provincia. Per questo, secondo l'Associazione, sarebbe importante disporre di dati accessibili, aggiornati e relativi a ogni struttura ospedaliera. In Italia è prevista anche l'interruzione volontaria di gravidanza attraverso il metodo farmacologico. Durante la pandemia l'AIFA l'ha autorizzato anche in regime di day hospital o ambulatoriale ma questo avviene ancora pochissimo. Un'eccezione è il Lazio dov'è la pillola RU486 viene consegnata in struttura e la paziente può poi prenderla autonomamente a casa.