Avevamo bisogno di libertà. Di usare la bocca confinata da un anno e mezzo nelle prigioni della pandemia, per respirare la gioia più pura, di irridere le paure che hanno divorato la normalità e gettato un Paese nell'abisso dell'emergenza. Avevamo bisogno di tornare italiani, meglio se bambini. Dallo stadio calcistico il tifoso retrocede a un altro stadio: quello dell'infanzia, rifletteva Montale. Aveva ragione. Ieri è accaduto. Da Wembley alle piazze d'Italia, l'irresistibile dribbling della felicità, la festa dei ragazzi di Mancini, un abbraccio dopo l'altro, ripetuto dieci volte, il regalo dell'amicizia e della condivisione. Il potere del gruppo e la sua luce con un riflesso bellissimo: la maglia dello sfortunato Spinazzola indossata come una seconda pelle, madida di sudore, sofferenza e vittoria. E tutti a circondare in un lampo Insigne e poi guardare fisso nella telecamera per dire allo sfortunato compagno: "eccoci, ci siamo". Per dire agli italiani: "l'abbiamo fatto per voi". Una squadra in missione per conto di un Paese che vuole rinascere, che ha fame di credibilità, come il suo Governo. Si vince sul campo, nell'Europa del calcio e in quella delle istituzioni. Il messaggio chiaro dello sport: fare gruppo per battere l'avversario. Che sia la Spagna, il virus, la crisi economica, i sospetti e i veleni. Dare il meglio in ogni campo e se possibile farlo con naturalezza perché così si è, una volta di più, più forti. Il rigore di Jorginho insegna. La carezza di destro, la palla che finisce nell'angolo ingovernabile. Il portiere in ginocchio. Un tocco quasi umiliante, forse anche per zittire gli insulti della stampa iberica, così priva di fantasia, da sfoderare il solito luogo comune paragonando Bonucci e Chiellini a due ragazzi in giacca e cravatta, rasati male, con le palpebre cadenti, che ti piantano le mani sul petto in un ristorante vuoto. Siamo ancora allo stereotipo del mafioso. Un odore stantìo, puzza di chiuso. Invece c'è bisogno di respirare aria pulita, in tutti i sensi. L'Italia di Mancini è tutto questo: genuina, sana, bella. E di tutto questo anche contagiosa: sugli spalti, nelle strade, nelle case. Sia lodato Eduardo Galeano quando scrive: "E la folla delira, e lo stadio dimentica di essere cemento e si stacca dalla terra librandosi nell'aria".