“Sono passati 30 anni e mai avrei pensato di ritrovarmi qua a fare una battaglia contro lo Stato”. Era il 13 dicembre 1989 quando Monia Del Pero, 19 anni, venne uccisa e fatta a pezzi dall'ex fidanzato a Manerbio, vicino a Brescia. Il ragazzo fu arrestato e condannato a 10 anni e 8 mesi di carcere. Ne scontò 5, poi tornò libero e ora vive in Sud America dove si è rifatto una famiglia e una vita. Oltre al carcere, il tribunale decise un risarcimento importante per il delitto, 700 milioni di vecchie lire. “Che ha pagato per 4 o 5 anni nella misura di un quinto dello stipendio”. Dopodiché niente più, la famiglia di Monia non ha mai ricevuto alcun risarcimento. “Voglio che lo Stato riconosca il valore della vita di Monia”. E' nata così una battaglia legale che ha visto la madre di Monia scontrarsi con lo Stato a più riprese, fino ad arrivare al Tribunale civile di Roma. “L'ennesima udienza a questo Tribunale ordinario di Roma è il seguito di una richiesta al Ministero dell'Interno, a un Consiglio di Stato, a un TAR di Brescia, a un Tribunale ordinario di Brescia e a una seconda udienza al Tribunale ordinario di Roma nell'arco di 10 anni”. La legge 122/2016 prevede un risarcimento massimo di 7.200 euro a favore delle vittime di reati intenzionali violenti, come le violenze fisiche e il femminicidio, una discriminazione per Gigliola Bono. “Le uniche vittime non risarcite, perché chi commette il reato è sempre nullatenente, sono le vittime di femminicidio”. Per la madre di Monia lo Stato deve essere responsabile. “Come mia figlia, ogni 72 ore muore una donna e lo Stato siccome non se ne prende cura di queste ragazze, non le tutela, come ti ho detto, forse se riesci a far capire allo Stato, anche toccando economicamente perché forse è l'unico motivo, forse magari comincerà a muoversi nella direzione di evitare e non di dover pagare il danno quando il danno è già stato fatto”.