Mia sorella era sicuramente una persona con un disagio, che viveva nella sua profondità, nella sua intimità, che non necessariamente manifestava, diciamo, tutte le volte. Una persona molto di successo da un punto di vista lavorativo, io credo anche famigliare e personale. Però, una persona che ha avuto una serie probabilmente di, non vuoi chiamarli traumi, ma magari scossoni anche emotivi, dovuti sicuramente a delle condizioni famigliari che abbiamo vissuto, ma anche a delle condizioni che poi hanno colpito lei in prima persona, e quindi un problema soprattutto, all'inizio, di drenaggio alle gambe, una malattia purtroppo autoimmune, che non era limitante, diciamo, non richiedeva delle cure particolari, ma semplicemente delle attenzioni che probabilmente, però si manifestavano. Poi invece da un punto di vista visivo, anche su un campo estetico, qualcosa che comunque lei faceva fatica ad accettare. Il modo di far esplodere questo disagio, tra virgolette, di chiedere forse questo aiuto è stato quello di andare a peggiorare, diciamo in modo evidente, da un punto di vista fisico, perché Emanuele è sempre stata una persona che aveva avuto delle forme, se vuoi, di controllo sul cibo, piuttosto una persona sempre molto attenta da quel punto di vista. Però ma in un modo preoccupante. Negli ultimi due mesi, mia sorella, appunto, ha cominciato a dimagrire molto velocemente. Abbiamo tentato di aiutarla, soprattutto a rendersi conto che ormai quel disagio che lei viveva non era più un disagio, ma una condizione di salute molto preoccupante, che in un paio di mesi è precipitata a tal punto da essere una situazione limite da un punto di vista non solo di magrezza, perché appunto le è stata diagnosticata questa anoressia nervosa, ma da un punto di vista anche internistico, che poi è il motivo per cui lei è stata ricoverata, diciamo alla fine, dopo aver rifiutato invece un primo ricovero che doveva essere fatto in una struttura pubblica, però, insomma, atta a prendersi cura del disturbo alimentare. Credo che lei non l'abbia accettato per due motivi. Uno perché se è vero che questa condizione nasceva da una solitudine, da una necessità di essere vista, il ricovero potesse in qualche modo rappresentare un ulteriore isolamento, e credo anche dovuto al fatto che mia sorella tendeva a proteggere molto se stesse e le persone intorno. La sua intenzione non era quella di morire, ovviamente. I messaggi, diciamo che ho letto con più piacere sono quelli di persone, magari che come Emanuela fino a quel punto erano state convinte del fatto che potevano farcela da sole. L'appello che faccio io è che quando invece si tratta di persone maggiorenni, trovare un aiuto non è così facile e forse servirebbero più strumenti.