"Nel 2008 facemmo analizzare un pezzo di pecorino di pecore e capre che avevano brucato l'erba attorno all'Ilva e tre anni prima nel 2005 eravamo stati i primi a informare la popolazione e anche gli organi politici che a Taranto c'era la diossina. Purtroppo, siamo stati noi cittadini a tirare fuori la questione quando lo avrebbero dovuto fare le Istituzioni". Alessandro Marescotti e uno di simboli di quella Taranto che sulla questione ambientale non ha mai mollato la presa. La sentenza, della Corte d'Assise, che riconosce il disastro ambientale provocato dalla più grande acciaieria d'Europa è un po' anche la loro. Un macigno che si abbatte sulla gestione Riva ma che rischia di produrre effetti anche sul presente. Per Fabio e Nicola Riva con 22 e 20 anni le condanne più pesanti. Ma fanno rumore anche in tre anni e mezzo combinati all'ex Governatore pugliese Nichi Vendola che avrebbe fatto pressioni sul ARPA per ammorbidire i report ambientali. "Una mostruosità giuridica, avallata da una Giuria Popolare, colpisce noi quelli che dai Riva non hanno mai preso neanche un euro, quelli che hanno scoperchiato la fabbrica, hanno imposto le leggi più avanzate d'Italia contro i veleni industriali". Ma più che le condanne, i risarcimenti per le 900 parti civili a far rumore e soprattutto la confisca dell'area a caldo che proietta in qualche modo la sentenza ai giorni nostri."In teoria un affittuario locale potrebbe come da clausole risolutorie del contratto che è stato firmato, in in gran fretta in parte anche in maniera riservata, a dicembre con Invitalia, poter rescindere il proprio rapporto col Governo. È importante quindi che il Presidente Draghi prende in mano questa vicenda e subito convochi la comunità e le parti istituzionali per dare una prospettiva a questa situazione".