Andiamo a vedere il ponte di ferro dalla banchina della riva Marconi. Sotto la struttura semi distrutta tra le lamiere annerite e deformate a pochi passi da noi il corridoio esterno in acciaio, quello che è crollato. Nell'aria l'odore irrespirabile di bruciato si sente ancora, graffia la gola. Chi ci accompagna indica il punto dove si è scatenato l'incendio, sotto e tra i piloni di ghisa, lì dove c'era il ricovero di una famiglia, ora sparita. Foto allegate all'informativa delle Forze dell'Ordine in Procura confermerebbero che l'incendio sia partito da un fornello a gas o magari anche da una bombola. Sotto il ponte oltre il nastro delimitatorio rimangono soltanto tre secchi. Probabilmente sono quelli che sono stati utilizzati per spegnere le prime fiamme. Ci spingiamo più in là percorrendo la banchina. A pochi metri dal ponte incontriamo un sentiero che va verso il fiume. Tra il fango e le sterpaglie fradice, materassi, comodini, biciclette, pentole, bottiglie, valigie, degrado e rifiuti. Qualcuno ci racconta che dopo l'incendio sono andati via tutti. E' uno degli insediamenti precari lungo il Tevere, baraccopoli segnalate e denunciate più volte in passato da cittadini e movimenti di quartiere e che ora si chiedono. Si poteva evitare tutto questo? Mentre il pensiero va ad un altro incendio, sempre sotto lo stesso ponte, nel febbraio di 8 anni fa. Intanto le indagini vanno avanti. I reati ipotizzati contro ignoti della Procura di Roma sono di incendio colposo e delitti contro la pubblica incolumità, nonché il pericolo di crolli. Oltre a quella del fornello da campeggio si seguono anche le piste delle tubature usurate e del corto circuito.