Sono venuta qui perché ho preferito salvare almeno una vita, quella della mia bambina e mio marito mi ha supportato in questa scelta. Lui è rimasto a Kabul. La scelta di Amina è stata quella di garantire un futuro alla sua bambina che nascerà tra un paio di settimane. Non una scelta facile ma lei e le altre donne afgane, istruite e indipendenti che non hanno mai indossato un burka non hanno avuto alternative, anche a causa spesso del loro lavoro, come Mariam giornalista. Le giornaliste vengono tutte minacciate e sono diventate un obiettivo. Certo c'era già un problema culturale ma adesso con l'arrivo dei talebani bisogna affrontare molti più problemi. Sono 1.200 i cittadini afgani arrivati a Roma nei giorni scorsi, grazie al ponte aereo della Difesa. Al momento sono in quarantena in diverse strutture, assistiti sia dal punto di vista sanitario che psicologico. "Abbiamo fatto uno screening sulle principali malattie poi abbiamo fatto il tampone a tutti, sono stati tutti negativi. L'adesione nel primo centro di ieri è stata del 100%, quindi abbiamo vaccinato tutti i vaccinabili dai 12 anni in su." Un lavoro enorme coordinato tra regione Lazio, Protezione Civile e Forum Terzo Settore che già pensa al dopo e lo fa con una proposta concreta. "Chiediamo di cogliere, fra virgolette, questa occasione per sperimentare un nuovo modello di accoglienza. Tra l'altro abbiamo delle professionalità altissime quindi persone anche con un bagaglio culturale, laureate, quindi far sì che questa volta si faccia un modello di integrazione vera, cominciando da subito." Anche attraverso perché no i ricongiungimenti familiari. Sono già decine le richieste da parte di nuclei di afgani già residenti in Italia. Per Amina, Mariam e gli altri la strada andrà costruita. Ciascuno di loro ha lasciato a casa affetti, famiglia, amici ma han scelto di vivere. Alle spalle i giorni bui dei talebani, davanti un futuro nuovo e diverso non facile da realizzare ma forse meno incerto.