Figlio del capo del mandamento di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro è sempre stato un discepolo dei corleonesi. Braccio armato di Rina ed erede alla guida della Cosca Trapanese. Dopo le stragi del '92 e '93, la cattura del capo dei capi Totò Riina, Messina Denaro capisce che la linea di Bernardo Provenzano è quella con cui si fanno affari. In silenzio, senza sparare un colpo. Ma chi era e cosa faceva il boss? Anello di congiunzione tra la vecchia e la nuova mafia. "Si metteva a fare quello che si faceva prima che ci fosse Rina, quello che sapevano fare i Messina Denaro e gli altri mafiosi nel nostro territorio: stare in silenzio, stare in silenzio e lavorare sulle relazioni perché la mafia è essenzialmente violenza di relazione". U Siccu, Diabolik, sono i soprannomi del giovane Matteo che per un periodo sarà anche Alessio. Questa la firma che troviamo in una serie di lettere inviate a Svetonio, nome di fantasia, scelto per l'ex sindaco del suo paese, Antonino Vaccarino. Si scoprirà solo dopo al soldo dei servizi segreti. Lettere in cui confida le proprie frustrazioni di uomo e di padre e le proprie aspirazioni criminali. La sua però è una famiglia diversa da quella della mafia bene, la compagna e la figlia lo rinnegano, quest'ultima fino al ricovero del padre in ospedale. Alcuni parenti lo denunciano pubblicamente e per lui è un duro colpo. Al suo fianco restano però le sorelle: Rosalia aiuta il fratello boss nella gestione dei conti e delle terapie per il tumore che gli era stato diagnosticato. Patrizia vive nel clan e per il clan. In un colloquio in carcere col marito Vincenzo Panicola, rivolge lo sguardo verso l'alto per riferirsi al Padrino. Chi comanda in famiglia è chiaro e chi sta in alto, è Matteo.