Edgar Bianchi era considerato uno degli esempi più brillanti di riabilitazione. Uscito dal carcere nel 2014, dopo una condanna ad otto anni, quattordici in primo grado, ridotti poi a dodici in appello, per oltre venti violenze sessuali consumate in Liguria. Oggi, il maniaco dell’ascensore si confronta col suo male. Nella confessione seguita all’ultima violenza, su una dodicenne della periferia ovest di Milano, riconosce di aver tentato di vivere e di aver fallito. È il profilo che fornisce di lui l’avvocato Giovanna Novaresi, genovese, che lo ha seguito in passato nella fase della prima condanna e del programma di recupero psicoterapeutico in carcere. Il barman di Genova aveva anche chiesto, durante la detenzione, di aprire un conto per risarcire le sue vittime, soldi che provenivano dal lavoro nelle attività carcerarie. Una condotta in apparenza regolare, la sua, quando tre anni fa è tornato in libertà nella sua Genova, e poi ha iniziato il suo viaggio: dopo il Portogallo, Milano. “Pensavo di esserne uscito, e guarito, ma purtroppo sono ricaduto”, sono le parole della confessione di Bianchi, dopo il racconto dell’inseguimento della ragazzina all’uscita dalla scuola, fin sul pianerottolo di un condominio in zona Gambara, nel capoluogo lombardo. Quarant’anni, una fidanzata per la quale gli inquirenti stanno valutando l’ipotesi di favoreggiamento, una vita apparentemente normale. E normale vorrebbe tornare l’esistenza della bimba senza nome, per la quale la madre invoca l’oblio: “la piccola è assediata, terrorizzata”, racconta la donna “non riesce neanche ad andare a scuola”.