Cosa Nostra? Non ne ho mai fatto parte, la conosco solo per aver letto i giornali e guardato la TV. Non sono un mafioso. Sono queste le prime parole che Matteo Messina Denaro, arrestato lo scorso 16 gennaio, ha pronunciato durante il primo interrogatorio al quale è stato sottoposto dal Procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e dal suo aggiunto Paolo Guido. Un Padrino che segue un cliché, quello della negazione, come prima di lui avevano fatto Totò Riina e Bernardo Provenzano, poi aggiunge. Mi avete preso soltanto perché sono malato, sotto intendendo che se non fosse stato costretto a curarsi nessuno sarebbe mai riuscito a catturarlo. Ha dovuto cedere per sottoporsi alla chemioterapia. Difende il medico di Campobello che gli prescriveva le cure. Non mi ha mai visto, dice il boss. Nega di aver commesso e ordinato stragi per le quali è stato invece condannato e soprattutto vuole che venga messo a verbale una cosa. Io non ho ucciso né dato l'ordine di uccidere Giuseppe Di Matteo, il ragazzino strangolato e sciolto nell'acido perché il padre Santino, pentito, non aveva ritrattato le accuse contro gli esponenti di Cosa Nostra. Insomma Matteo Messina Denaro recita la parte della vittima di indagini sbagliate, si scrolla di dosso tutte le accuse ma non risponde ai magistrati sui tanti altri covi che ha utilizzato in 30 anni di latitanza e non sono ancora stati trovati, poi aggiunge, citando un proverbio ebraico, che nell'ultimo periodo aveva deciso di fare l'albero in mezzo agli alberi, di vivere alla luce del sole. Andavo al ristorante dice e giocavo anche a poker.