Con l'identità di Andrea Bonafede, Messina Denaro viaggiava. Facendosi chiamare Francesco, come il padre, si spostava quasi come un normale cittadino a Campobello; lo ha fatto anche la mattina di sabato 14 gennaio percorrendo un paio di chilometri in auto per raggiungere il supermercato, in pieno centro a poche centinaia di metri dalla Chiesa Madre e dal Municipio. Alle 11 le telecamere lo riprendono con il carrello della spesa. "Lei ha visto questa sagoma?","Questa sagoma, ma non sono sicuro perché poi vedendo poi le foto sui giornali","Ma col cappello?", "Si col cappello." Lo scontrino ritrovato nel portafogli dopo l'arresto, il flacone del detersivo appena acquistato rimasto sul pavimento della casa in Vicolo San Vito; la prima ad essere perquisita e dove continua il lavoro dei Carabinieri del ROS, mentre la polizia scientifica si concentra sull'altra casa nascondiglio, quella di via San Giovanni. In entrambe si cercano documenti che potrebbero però essere stati nascosti chissà dove. A favorire la latitanza in semilibertà di Matteo Messina Denaro una rete di fiancheggiatori e fedelissimi, di medici compiacenti e contadini disposti a fargli da autista. Una lista che si allunga con l'iscrizione nel registro degli indagati, con l'accusa di favoreggiamento, dei due figli di Giovanni Luppino l'uomo arrestato lunedì con il boss davanti alla clinica La Maddalena. Nel loro garage, a Campobello, è stata trovata l'auto di Messina Denaro. Un magazzino è stato perquisito a lungo della scientifica e posto sotto sequestro. Ma il fedelissimo del boss, l'uomo che aveva affiliato, in via riservata al suo servizio diretto come scrive il Gip nell'ordinanza, era Andrea Bonafede; la persona che conosceva più di ogni altra i segreti del boss ed è a suo carico il più grave tra i reati, finora contestati dalla Procura di Palermo, associazione mafiosa con cui nella casa sul mare di Tre Fontane lunedì sera, una settimana dopo il boss, anche il suo prestanome è finito in manette.