Matteo Messina Denaro, per la prima volta, ha parlato davanti ad un magistrato. Lo ha fatto con il gip Alfredo Montalto qualche giorno dopo il suo arresto. Il boss non ha detto molto, ma ha fatto una precisazione: la decisione di strangolare e di sciogliere nell'acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, non fu presa da lui come in tanti hanno detto degli anni, ma da Giovanni Brusca. Una mossa del Boss per ridimensionare il suo ruolo in una delle vicende più atroci della mafia. La sua posizione, che ovviamente andrà verificata, non cambia di molto la situazione del capo mafia, già condannato per decine di omicidi e per essere stato uno dei presunti mandanti delle stragi di Capaci e di via D'Amelio e degli attentati del 93 a Roma, Firenze e Milano. Di fatto, però, ha violato un taboo, ha ammesso, sommessamente, di far parte di Cosa nostra e non ha negato l'appartenenza, come per esempio fecero Totò Riina e Bernardo Provenzano. Il piccolo Giuseppe Di Matteo venne rapito da uomini spacciatisi per poliziotti, in un maneggio di Villabate nel novembre del 93. Venne spostato per tre anni in giro per la Sicilia. La sua fine in una cella sotterranea ricavata all'interno di un Casolare a San Giuseppe Jato. La mafia voleva convincere il padre del ragazzino a ritrattare le accuse contro Giovanni Brusca è Totò Riina. Nel gennaio del 96 l'ordine di strangolarlo e di scioglierlo nell'acido. Intanto prosegue incessante il lavoro dei magistrati della DDA di Palermo. Si analizzano i pizzini trovati nei covi del boss e a casa della sorella Rosalia, arrestata per associazione mafiosa. Da questi documenti sono già arrivati elementi che hanno fatto finire in carcere molti favoreggiatori, ma la lista è ancora lunga.