Medihospes, la cooperativa che si è aggiudicata l'appalto per la gestione dei centri italiani in Albania ha richiamato in patria il suo personale, lasciando Shengjin e Gjader solo sette operatori impiegati in ruoli amministrativi una decisione sicuramente concordata col Viminale, ma che amplifica gli effetti del doppio stop imposto dai giudici che hanno messo in standby il protocollo siglato tra Italia e Albania per trasferire in terra albanese, ma sotto la giurisdizione italiana migranti maschi non vulnerabili, maggiorenni e soli provenienti da Paesi sicuri. Lo stesso ministero dell'interno, del resto, aveva ridotto nelle scorse settimane il contingente di forze dell'ordine assegnato ai due centri, nei quali a regime dovrebbero essere impiegate 295 persone, tra polizia, carabinieri e guardia di finanza. In Albania ora ne restano molte di meno, ma comunque sufficienti a vigilare e rendere operativi in qualsiasi momento i due centri, cosa che naturalmente non succederà breve, il nodo da sciogliere resta il requisito della provenienza da Paesi sicuri, contestato nelle due sentenze che hanno rispettivamente annullato e sospeso il trattenimento nei centri albanesi di una ventina di migranti bengalesi ed egiziani. E c'è attesa a questo punto per la decisione della cassazione che il prossimo 4 dicembre sarà chiamata a stabilire se i giudici possano mantenere discrezionalità, nella loro valutazione, di un Paese sicuro oppure debbano attenersi semplicemente alla lista del Governo.