La prima telefonata che arriva al call center ha le domande più frequenti delle ultime settimane. "Era la signora Elena, è una signora ucraina che è arrivata qua con con due figli minori uno di 10 anni e un altro di 12. Ha già fatto tutte le procedure burocratiche, documenti, pratiche varie, e adesso ha chiamato per iscrivere i bambini a scuola perché ovviamente ci stiamo avvicinando a settembre e devono fare questa iscrizione. Per quello l'abbiamo indirizzata un po' a chi deve rivolgersi e poi è rimasta veramente stupita dalla questione dei libri. Perché si non aspettava che in Italia i libri nelle medie, e anche nelle scuole in generale, vanno pagati dai genitori." In Ucraina invece libri non si acquistano ma vengono consegnati ogni anno in biblioteca. Questa è solo una delle enormi differenze che ci sono per chi arriva nel nostro Paese. Oltre 13.900 nella sola città metropolitana di Milano dalla fine di febbraio ad oggi e che solo chi, come Anastasia, c'è cresciuta conosce. "Io sono arrivata in Italia tre anni fa. Sono sposata con un ragazzo italiano. Nei primi giorni di guerra cerco di di aiutare in tutti i modi possibili la mia popolazione. Purtroppo la mia mamma è rimasta lì in Ucraina a Cherson, una città occupata da mesi." Anastasia ha 26 anni e una laurea in lingue. Non era preparata ad assistere i suoi connazionali che scappano dalla guerra eppure le telefonate sono raddoppiate nelle ultime settimane. "Si, le chiamate sono effettivamente aumentate e vediamo che la richiesta più comune al momento è proprio la richiesta di un supporto psicologico. Perché tante persone che magari sono arrivate qua, all'inizio pensavano di stare due mesi, massimo tre mesi, e tornare a casa loro dove sono rimasti loro affetti, la loro casa, eccetera. Adesso si sono resi conto che forse la guerra non finisce così velocemente e allora hanno bisogno di un supporto psicologico e insomma, di un nostro sostegno, di integrazione nella società dove si trovano al momento.".























