"Noi famiglie la viviamo sopravvivendo. Solo chi prova può capire. È difficile andare avanti. Purtroppo quando senti questi casi che succedono in televisione ti rendi conto e dici: possibile che dopo tanti anni ancora succede ciò?" Per Giulia Caradonna tutte le volte è come essere scaraventata indietro nel tempo, a quel maledetto 3 marzo del 2008 quando suo marito e altri quattro colleghi morirono, nel disperato tentativo di aiutarsi l'un l'altro, uccisi dalle esalazioni di acido solfidrico all'interno della cisterna che stavano bonificando. Tredici anni dopo la strage della Truck Center di Molfetta non ha ancora avuto il suo epilogo giudiziario ma, tra rinvii e annullamenti, i processi hanno messo a nudo la lunga catena di errori e omissioni. "L'episodio di Molfetta fu legato a una serie di concause, di corresponsabilità di tutti i soggetti che si sono occupati, dove hanno tentato il classico scaricabarile. Sarebbe bastato, forse, nel caso di Molfetta, semplicemente fare una visura camerale della società di Molfetta per verificare che nell'oggetto sociale non c'era l'autolavaggio, o meglio il lavaggio, di mezzi che trasportavano sostanze pericolose". Fu proprio la strage di Molfetta ad accelerare l'iter per l'approvazione del testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Finalmente norme più rigide e pene più severe. I familiari delle cinque vittime della Truck Center non le vedranno, però, applicate al loro processo di cui, ormai, non attendono più nemmeno l'esito. "Si è sentita aiutata come famiglia dallo Stato che comunque qui fu presente in quei giorni?", "Sì, sì, è stato presente in quei giorni lo Stato, il Comune, è stato presente in quei giorni. Avete detto bene, in quei giorni. E poi? Poi, diciamo, col passare del tempo non sanno nemmeno chi siamo, secondo me".