“In nome del popolo italiano, la Corte, visto l'art. 530 del c.p.p., assolve Marco Cappato dal reato lui ascritto perché il fatto non sussiste.” Si dissolve in un applauso spontaneo e liberatorio la tensione che precede la lettura del dispositivo dalla Corte d'assise di Milano con la quale i giudici hanno dichiarato non punibile Marco Cappato. E non perché la sua assoluzione non fosse attesa dopo la pronuncia della Corte costituzionale, ma perché forse la storia di Fabiano Antoniani, ormai per tutti DJ Fabo, almeno potenzialmente riguarda un po' tutti così come questa sentenza. “E' una giornata veramente storica. Credo che questa sentenza abbia veramente cambiato molto e ha aperto la strada a una serie di valutazioni estremamente importanti. Veramente l'uomo adesso viene messo al centro”. Dopo che sia difesa che accusa sono tornate a chiedere in aula l'assoluzione per Cappato, lo stesso esponente radicale ha preso la parola per ribadire ancora una volta davanti al Collegio il perché del suo gesto. “Non è la tecnica del tenere in vita ad essere rilevante, ma la condizione di vita, di dignità, di libertà che ciascuno vuole garantire per se stesso. Quello sì è rilevante”. La sentenza arriva a quasi due anni da quando proprio la Corte d'assise di Milano aveva sollevato una questione di legittimità costituzionale dell'articolo 580 del codice penale, quello che prevede la punibilità dell'aiuto al suicidio con una pena tra i 5 e i 12 anni di reclusione. Lo scorso settembre i giudici della Consulta si erano espressi fissando dei paletti precisi entro i quali l'aiuto al suicidio non può essere considerato un reato. La Consulta, prima di esprimersi, aveva dato un anno di tempo al Parlamento per legiferare in materia, legge che però non è mai arrivata. “Facciamo una richiesta precisa al Parlamento, quella di emanare una buona legge che disciplini le scelte di fine vita. Dal 2013 in Parlamento c'è una proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell'eutanasia e non è stata discussa nemmeno un attimo”.