"Quella notte, tutto inizia con una telefonata del mio vice, io ero appena rientrato su Roma, ero Comandante di Grosseto, che mi dice: guarda c'abbiamo solo una segnalazione di una nave in difficoltà, ma nulla che non sia sotto controllo. Poi, seconda telefonata, proprio su mia richiesta, dico: approfondisci un attimo, sentiamo che non ci siano problemi più grandi, dice: no, ma cautelativamente li faranno sbarcare al Giglio. Lì, pure se non avevo notizie certe, mi si era subito fatta l'immagine di una nave che stava affondando, perché quella sola, poteva essere la motivazione per far scendere circa 4mila persone in un'isoletta piccola come il Giglio, in pieno inverno. Partii subito da Roma e mi ricongiunsi ai miei a Porto Santo Stefano, cambiandomi sul molo. Ricordo il freddo della serata. Da lì siamo partiti con una motovedetta della Capitaneria di Porto. Siamo arrivati sottobordo. Salgo a bordo con i miei e vado a cercare, facendomi tutta la murata, chiaramente camminando proprio sul bordo della nave. E devo dire che la prima immagine è stata fortissima, perché si vedevano queste lucine intermittenti a bordo nave, questa nave totalmente rovesciata, enorme e il primo pensiero, da Comandante dico: ma adesso che faccio? Cioè perché non c'era un manuale delle istruzioni che ci potesse, in qualche modo, indicare una procedura. Le procedure, sulla Costa Concordia, ce le siamo dovute tutte immaginare e scrivere in quel momento. Non c'era assolutamente nulla di preordinato. Mi piace sottolineare che siamo gli unici saliti a bordo e li siamo rimasti per tutta la notte ad operare, fino a che non abbiamo tirato giù l'ultimo dei passeggeri che potevamo trovare. Mi faccio tutta la murata, mi cerco il Comandante e non trovo niente, assolutamente nessuno e un'altra squadra invece con me, che sta sul bordo esterno e a tirare fuori le persone che erano bloccate al livello del "Ponte 4", ma praticamente bloccate totalmente. Anzi, la cosa che impressionante, è che erano sedute e rassegnate lì, perché non c'era via di fuga. Quindi, con i triangoli di evacuazione, poi piano piano, ce li siamo caricati, gli facevamo fare questi 10-12 metri di ponte, che ormai era diventato una parete verticale, li portavamo sul bordo e poi li facevamo scendere per la biscaggina di poppa. Portata a terra l'ultima ragazza che era rimasta ferita, aveva avuto delle fratture, per le quali abbiamo dovuto fare una teleferica all'interno della nave, in quelle condizioni, per poterla estrarre. Scendiamo a terra, ringraziando il Signore che eravamo ancora vivi e Santa Barbara che ci guarda sempre, perché devo dire, che non avevamo certezza. Insomma quando siamo saliti, il pensiero è stato: chissà se vediamo l'alba del giorno dopo. Nel giro delle prime 72 ore, noi passiamo a tappeto, a rastrello, tutta la nave, trovando e individuando i due coreani che vengono salvati e poi Giampedroni, il Commissario di Bordo, che era caduto per le scale, si era fratturato e quindi era rimasto bloccato all'interno dello scafo, con questa poi veramente spada di Damocle, di questa nave che non si capiva perché non affondava del tutto, non scivolava. Poi solo a marzo sapremo con certezza che si era infilata, praticamente, su questi due scogli di granito, io ho sempre pensato a una sorta di miracolo, perché oggettivamente la notte dell'affondamento, la nave è uscita per 2 miglia senza motori e senza timone, sul canale del Giglio, che arriva a profondità di 180 metri. Se fosse affondata lì, probabilmente avremmo parlato della più grande tragedia del mare di sempre. Avrebbe superato il Titanic e qualsiasi altra situazione, perché i morti sarebbero stati migliaia. C'è veramente da ragionare in termini di miracolo, perché una causalità così strana e certamente nulla aveva a che fare con quello che Schettino racconterà, che lui ha fatto manovra, ma non ha fatto niente, perché non le poteva fare". "Qual è il ricordo più brutto?" "Io ricordo quando ne recuperammo il corpicino vicino al papà, la riportammo sulla coperta della nave e aspettando il via libera dalla Procura della Repubblica per il trasporto all'obitorio, io sono stato un paio d'ore con il cadavere vicino e in quei momenti pensi a tante cose, pensi ai tuoi figli. Ecco quando si tratta di bambini, non ci si abitua mai. Noi pensiamo sempre, con l'immaginario no, a questo Vigile del Fuoco una specie di supereroe, ma non è così, uomini normalissimi, che si portano appresso tutto il fardello del loro vissuto quotidiano, che è stato unico. Insomma io avevo i sommozzatori dei Vigili del Fuoco a cui dovevamo dare l'attrezzatura da alpinismo per calarsi all'interno della struttura di una nave semiaffondata. Insomma una situazione parossistica se vogliamo, veramente poco credibile. Penso agli speleosub che si sono inseriti all'interno di situazioni complicatissime, dove c'erano porte girevoli, arredi staccati, cioè, veramente rischiando molto. Il picco massimo è stato di 300 soccorritori totale nei primi giorni. Poi mediamente siamo stati sui 100." "Dopo 10 anni, che cosa resta?" "Cosa resta? Mah intanto la convinzione di aver fatto il proprio dovere, perché sento sempre parlare molto di diritti in questo Paese, ma si parla molto poco di doveri. I rischi vanno affrontati ma bisogna saper dare una risposta e tutti noi abbiamo dei doveri. Ecco questo è assolutamente importante.".