Ostile ai paragrafi e agli spazi bianchi che interrompono in modo innaturale il flusso dei pensieri, è andato di libro in libro, allungando i periodi e sottraendo i punti fino a scrivere un romanzo composto da una sola frase. È il caso di Herscht 07769 del 2021. Una questione non solo di forma, ma forse l'unico modo possibile per raccontare la complessità del mondo oscuro in cui viviamo e la crisi della civiltà che avanza. Temi che sono al centro della sua narrativa. L'opera del Premio Nobel Laszlo Krasznahorkai, ungherese classe 1954 è avvincente e visionaria e nel mezzo del terrore apocalittico riafferma il potere dell'arte, come si legge nelle motivazioni dell'Accademia di Svezia. La catastrofe, sembra dirci, è già tra noi, dentro di noi connaturata all'essere umani alla realtà. Eppure, la sua visione pessimistica è attraversata anche da lampi di speranza, una luce di cui sono portatori i matti non allineati quelli che sfuggono alla normalità. Uno scrittore fuori dagli schemi, per lungo tempo considerato outsider, che è arrivato anche al grande schermo, con le trasposizioni cinematografiche del regista connazionale Bela Tarr. Primo fra tutti Satanango, tratto dal suo omonimo romanzo d'esordio del 1985. Un libro arrivato in Italia con trent'anni di ritardo. Ha via via collezionato importanti premi affermandosi a livello internazionale. Interessato a raccontare l'universale, ad esplorare la dimensione esistenziale più che politica, è un autore che sa essere comunque dentro l'attualità. Dai primi lavori critici rispetto all'Ungheria comunista fino ai più recenti in cui serpeggia l'insofferenza nei confronti dei nazionalismi e che per questo lo rendono una voce dissonante in patria. Il suo prossimo libro, Panino non c'è più, uscirà in Italia per Bompiani, la Casa Editrice che ha tradotto in italiano le sue principali opere.























