"Giulia ha firmato la propria condanna a morte quando ha comunicato all'imputato che aspettava un bambino". È un viaggio nell'orrore, come lo definisce la stessa PM Alessia Menegazzo, la ricostruzione in aula delle fasi dell'omicidio di Giulia Tramontano uccisa al settimo mese di gravidanza con 37 coltellate dal suo compagno Alessandro Impagnatiello, il 27 Maggio 2023. Un viaggio che la pubblica accusa ripercorre in tre ore di requisitoria conclusa con la richiesta per l'imputato dell'ergastolo con 18 mesi di isolamento diurno. Nessuna attenuante può essere riconosciuta a Impagnatiello, come sempre presente in aula ma che chiede di non essere ripreso, perché Giulia iniziò a morire 5 mesi prima del suo omicidio col topicida che gli veniva somministrato, la candeggina, il cloroformio, con quei dolori di cui Giulia spesso parlava alla madre. "Nessun raptus, nessuna insensata figlia, niente di tutto questo. Questo processo è stato un'occasione per tutti noi per affacciarci sul burrone che ci ha mostrato la banalità del male". In aula c'è tutta la famiglia di Giulia. Ognuno indossa una spilla con la sua fotografia quando aveva il pancione. Ascoltano in silenzio la ricostruzione della procura. Poi la mamma di Giulia si avvicina alla PM e la abbraccia prima di sciogliersi in un pianto liberatorio ma sempre composto. L'avvocato di parte civile che li rappresenta si associa alla richiesta dell'accusa: il massimo della pena. Impagnatiello resta impassibile nella gabbia di plexiglass anche quando a prendere la parola è la sua difesa che lo descrive come un uomo fragile, ondivago e che nel sostenere l'assenza della premeditazione, della crudeltà e dei futili motivi, chiedendo anche il riconoscimento delle attenuanti, fa risalire il movente dell'omicidio all'incontro che Giulia ebbe con Allegra, l'amante di Impagnatiello, poche ore prima di essere uccisa. "Il 27 di maggio è la causa di tutto purtroppo. Questo incontro, questo smascheramento e questo fallimento subìto dall'imputato ha portato poi a quello che è successo".