Una donna Lidia Maksymowicz, sopravvissuta all'Olocausto e rinchiusa quando aveva meno di 3 anni ad Auschwitz, dove fu oggetto di esperimenti da parte del famigerato dottor Mengele, saluta il Papa, al termine dell'Udienza Generale nel cortile di San Damaso e gli offre il simbolo della sofferenza, sua e di un intero popolo, il fazzoletto che i prigionieri portavano nel campo di concentramento. Bergoglio si china e con grande rispetto, le bacia il numero, 70072, che i nazisti, come unica sua identità, le avevano tatuato sul braccio. Momenti di intensa commozione e di profondo significato. E del nazismo, anche senza citarlo direttamente, Francesco parla durante la Catechesi dell'Udienza, dedicata alla preghiera. A volte le preghiere non sono fatte in modo umile, sono una pretesa, un vaniloquio che Dio respinge, dice. E il Papa cita un motto, lo stesso che i soldati nazisti portavano scritto sul loro cinturone e a volte nelle bandiere: "Gott mit uns", Dio è con noi. "Si può anche pregare per motivi sbagliati. Ad esempio, per sconfiggere il nemico in guerra, senza domandarsi che cosa pensò Dio della guerra. È facile scrivere su uno stendardo: Dio è con noi. Molti sono ansiosi di assicurare che Dio sia con loro, ma pochi si preoccupano di verificare se loro sono effettivamente con Dio".