Una lente d'ingrandimento sulla pirateria audiovisiva, per capire e analizzare le conseguenze che questo fenomeno comporta all'economia del nostro Paese, anche in relazione al tessuto occupazionale. Una galassia complicata, composto da vari livelli e che riguarda la pirateria fisica, quella digitale e anche quella indiretta. Un fenomeno che ha trovato terreno fertile anche durante il periodo di lock down dove, dati alla mano, è quadruplicato il numero di atti illeciti. La fotografia per il 2019 è stata scattata dalla Ipsos per conto della Fapav, la Federazione per la tutela di contenuti audiovisivi e multimediali, e nel quadro complessivo è stata anche analizzata la prima fetta del 2020, segnata profondamente dell'emergenza Covid. Guardando i numeri, l'impatto economico è importante, e per questo viene ripetuto: è e resta un crimine, anche organizzato. Un danno molto chiaro perché si supera gli 1,1 miliardi, con l'impatto negativo in termini di Pil di quasi 500 milioni, e mancati introiti per lo Stato di altri 200 milioni, con 5900 posti di lavoro che sono andati in fumo, mentre i mancati incassi per l'industria audiovisiva italiana, a causa della pirateria, hanno toccato nel 2019 i 591 milioni di euro. Un emendamento nel decreto rilancio attribuisce maggiori poteri ad Agcom nel contrasto della pirateria, ma la situazione resta complessa. Ogniqualvolta una persona fruisce di contenuti audiovisivi illeciti sta minando i diritti patrimoniali di chi produce quei contenuti, sta mettendo in discussione qualche posto di lavoro. Per il periodo di lock down poi, nei due mesi di chiusura del Paese, l'incidenza complessiva della pirateria è stata del 40%, contro il 37% di tutto l'anno solare 2019, e 243 milioni il numero complessivo degli atti illeciti contro i 69 milioni di un bimestre medio del 2019. Un fenomeno che dilaga, dunque, la guardia deve restare alta, anche dal punto di vista normativo. Dal mio punto di vista quanto questo furto di creatività che danneggia l'industria creativa sia anche un furto alla nostra democrazia, e di fatto diminuisca pluralismo dell'offerta, e quindi l'assetto stesso della nostra democrazia.