"È una vita che è stata stravolta, sono viva non sono irriconoscente per questo, ma non è la vita che avevo prima, non è la vita che vorrei". Ricorda ogni istante Rita Giancristofaro di quel 14 agosto 2018 quando il boato prima del crollo di Ponte Morandi era sembrato un terremoto, poi l'asfalto non c'era più. Un volo di 50 metri, le auto inghiottite nel vuoto, tra macerie e pioggia, 43 morti, i feriti e i sopravvissuti alla tragedia del viadotto sulla A10 a Genova. Per il terzo giorno le loro voci, quelle dei testimoni oculari, si alternano al palazzo di giustizia. Il racconto di chi come Rita c'è ancora, dopo il coma farmacologico e gli interventi chirurgici, ma con una vita diversa. "Eravamo in vacanza, siamo partiti da Albissola", racconta in aula, "per visitare l'acquario". Non arriveranno mai a Genova lei e Federico, lei ricorda tutto, lui nulla. Martedì è anche riuscito ad attraversare il nuovo ponte San Giorgio in auto. "Niente semplicemente, autogrill, caffè, una sigaretta e mi risveglio in ospedale". Le ferite fanno ancora male, la paura a uscire di casa, le insicurezze, Rita ha solo 45 anni, un lavoro a Trieste, ma tutto è cambiato. Come lo sport e le maratone, che non riesce più a fare. "Ci ho provato ma non..." "Non ce la fa più?" "No, la gamba mi fa male e preferisco conservarla per camminare, tutti i giorni per lavorare e per vivere". Resta la bella amicizia con i quattro soccorritori, uno degli agenti di polizia ,era presente anche oggi in tribunale.























