Gli sono bastati trenta minuti di interrogatorio per ritrattare tutto. Mahmoudi Ridha ha risposto alle domande del Gip, ma ha negato di aver ucciso don Roberto Malgesini. Ha preso le distanze dalle sue stesse dichiarazioni di martedì, quando aveva rivendicato l'omicidio del sacerdote, ritenuto, secondo lui, il responsabile di un complotto architettato per farlo tornare nel suo Paese di origine. “Non sono stato io” ha detto in carcere dove è avvenuto l'interrogatorio di garanzia. Il Gip ha convalidato l'arresto per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e stabilito che Mahmoudi è imputabile, quindi capace di intendere e di volere. Il legale difensore ha fatto sapere che probabilmente farà richiesta di perizia psichiatrica per il tunisino, arrivato in Italia nel 1993 e dal 2014 senza permesso di soggiorno, con due condanne e quattro provvedimenti di espulsione. Intanto davanti alla chiesa di San Rocco, dove il sacerdote è stato assassinato, c'è un pellegrinaggio continuo di fedeli, senzatetto e cittadini. Cosa ha portato? “Una candela e un santino. Non doveva morire così”. E poi le persone aiutate da don Roberto, il prete sempre pronto in prima linea a sostenere chi ne avesse bisogno. “Lui era sempre lì a darmi una mano, a portarmi il tè quando dormivo in mezzo alla strada, a portarmi il tè, il caffè, oppure si preoccupava per farci da mangiare”. “Prima che scadesse il mio permesso di soggiorno avevo bisogno di un avvocato e lui mi aiutato a trovare un avvocato”. Il feretro nelle scorse ore ha fatto un passaggio a San Rocco prima di essere portato in Valtellina dove don Roberto era originario e dove saranno celebrati i funerali. “Amava le sue cose, amava Dio, amava le persone”.