L'ipotesi che si potesse procedere con un'indagine parallela per una perizia depositata dalla difesa che poco aveva convinto il Pubblico Ministero era già stata paventata nell'ultima udienza del processo ad Alessia Pifferi, quando davanti ai giudici della prima Corte d'Assise di Milano si era consumato un duro scontro verbale tra il PM Francesco De Tommasi e Alessia Pontenani, l'avvocata che difende la 37enne accusata di omicidio pluriaggravato per aver lasciato morire di stenti, nel luglio 2022, la figlia Diana di 18 mesi, abbandonandola in casa per 6 giorni. Ora a poche settimane dalla consegna della perizia psichiatrica super partes, disposta dai giudici sull'imputata, la notizia che il PM ha indagato per favoreggiamento e falso ideologico sia l'avvocata di Alessia Pifferi che le due psicologhe del carcere di San Vittore che avevano redatto la perizia al centro della disputa in aula. Quella con la quale era stato certificato un quoziente intellettivo dell'imputata pari a 40, con un età cognitiva simile a quella di una bambina di 7-8 anni e che aveva così evidenziato un deficit grave. Per il PM le psicologhe e l'avvocata avrebbero manipolato la donna fornendole una tesi difensiva alternativa, la perizia inoltre, sempre secondo l'accusa, sarebbe stata condotta con un test non utilizzabile ai fini diagnostici e valutativi. Alla base dei presunti illeciti commessi ci sarebbero anche alcune conversazioni intercettate in carcere. Nel corso delle perquisizioni eseguite su disposizione del PM, nell'abitazione di una delle psicologhe sono stati trovati 10.000 euro in contanti e numerosi farmaci di cui ora gli inquirenti vogliono appurare la provenienza. Intanto mentre i sospetti della Procura si estendono anche sulla gestione da parte delle psicologhe indagate e di altri quattro casi, reagiscono l'Ordine degli avvocati e la Camera penale di Milano: non si comprende l'urgenza di compiere atti d'indagine rispetto a un atto istruttorio il cui risultato è tuttora ignoto, si legge in una nota, è difficile mettendosi nei panni della collega non avere la sensazione di un implicito invito a fare un passo indietro.