"È il colonnello Helmi?" "Si, si, è lui. È assolutamente lui, si. Questo è il colonnello Helmi. Il colonnello Helmi me lo ricordo bene perché era sempre presente, anche durante altre attività congiunte". Agenti dei servizi del Cairo, oggi imputati nel processo per il sequestro e l'omicidio di Giulio Regeni, presenti insieme con il team di investigatori italiani al sopralluogo sulla superstrada dove fu ritrovato il corpo. C'è anche questo nelle parole dei testimoni ascoltati in udienza. Funzionari dello Sco e ufficiali del Ros, inviati in Egitto due giorni dopo il ritrovamento del corpo. Ci sono due mesi di apparente collaborazione con la polizia egiziana, "Non lo definirei proprio un rapporto sereno tra colleghi. Era un ambiente...diciamo c'era un clima abbastanza teso perché la nostra presenza era evidentemente non percepita in maniera serena. Eravamo tollerati...". Ci sono ipotesi mai condivise e mai provate. L'incidente stradale. "Incompatibile ripeto, sia per la posizione del cadavere sia per le condizioni che immagino abbiate già, diciamo, conosciuto del ritrovamento del corpo, anche con riferimento agli indumenti". Il movente sessuale, il traffico di opere d'arte, infine la rapina degenerata in omicidio. Una certezza per gli investigatori del Cairo ma nessuna delle piste regge all'esame della squadra di investigatori arrivati da Roma. "Iniziano a venire fuori un po' di particolari sia sui depistaggi, sia su quanto è stato difficile per i nostri investigatori, appunto, iniziare le indagini al Cairo e sulla assoluta mancata collaborazione egiziana, l'ostruzionismo anche abbiamo visto e poi, appunto, i depistaggi. È l'inizio della ricostruzione". Mentre il aula scorrono le immagini di una superstrada, di un paio di scarpe e qualche indumento, di un corpo senza vita, volto e gambe protette da uno spesso strato di inchiostro nero. Il corpo di Giulio Regeni.