"L'ambasciatore Massari ci porta da Giulio, però prima ci fa un lungo discorso: che lui ha visto Giulio, chiaramente potete immaginare com'era e che è meglio che noi non lo vediamo. Vedo ancora quella testa che dice no Paola lo ricordi com'era". È forse il momento più forte del racconto che Paola Deffendi, la madre di Giulio Regeni, ha fatto fatto davanti ai giudici della Corte d’Assise di Roma. Testimone nell’ambito del processo per il sequestro, le torture e l’omicidio del ricercatore friulano avvenuto al Cairo tra gennaio e febbraio 2016. "All'ospedale italiano ci troviamo di fronte un sacco bianco col ghiaccio dentro. Una suora mi dice lei sa che suo figlio è un martire? E là io ho la conferma della tortura di Giulio". Poi il riconoscimento una volta a Roma. "Era Giulio, ma non era Giulio. So che ho detto ma che cosa ti hanno fatto. o l'ho solo pensato, che cosa ti hanno fatto? In quel momento ho visto la brutalità, la bestialità". Brutalità è questo è il termine che usa Paola Deffendi che ha raccontato dei giorni precedenti la scomparsa, dell'ultima telefonata il 24 gennaio, delle raccomandazioni, della certezza che lui non sarebbe uscito di casa il giorno dopo. E invece non è andata così. Tra pochi giorni Il 25 gennaio saranno nove anni da allora e quattro agenti dei servizi segreti egiziani, imputati nel processo, restano assenti. Un processo che si sta svolgendo nonostante le resistenze e i silenzi dell'Egitto che non ha mai consentito di rintracciare gli uomini ritenuti dalla Procura di Roma responsabili della morte del ricercatore.