Ecco chi mi farà del male. Saman si sentiva in pericolo e l'aveva scritto a chiare lettere al fidanzato in una chat tre mesi prima di sparire. Nomi e cognomi, all'interno della sua famiglia a partire dalla madre e dal padre. Una storia senza fine, senza un corpo, ma che la fine, invece, la riporta scritta nelle parole raccontate in carcere e nelle intercettazioni acquisite, ultima in ordine di tempo, quella della mamma. Noi siamo morti sul posto, avrebbe detto la donna parlando al telefono con l'altro figlio. L'intercettazione in cui parla di sé e del marito è nel maxi faldone del processo che inizierà a febbraio 2023 a Reggio Emilia e che vede imputati per omicidio 5 familiari della ragazza, i genitori, latitanti in Pakistan, i due cugini e lo zio, arrestati tra Francia e Spagna. La frase della donna è estrapolata da una conversazione via WhatsApp. È il ragazzo, minorenne e ora affidato a una comunità protetta, che chiama l'utenza pakistana usata dai genitori, fuggiti in patria il primo maggio la mattina dopo il presunto omicidio della figlia, avvenuto nella notte tra il 30 Aprile e il primo Maggio 2021. E poi la confessione del padre, anche questa intercettata. "L'ho uccisa". Che l'avvocato però mette in dubbio. É il ragazzo ad accusare i familiari del delitto, e in particolare, indica nello zio l'esecutore materiale dell'omicidio della sorella, colpevole, per i parenti, solo di voler vivere con una libertà non consona ai dettami tradizionali pakistani. A scatenare la furia, sarebbe stata la foto di un bacio tra Saman e il ragazzo che frequentava, nonostante la famiglia l'avesse promessa in sposa in patria. La dinamica sarebbe stata raccontata in carcere da uno dei cugini ad un detenuto. Strangolata con una corda e gettata nel Po. Ecco la fine di una ragazza che voleva essere libera.